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Il saluto dell'angelo e la speranza incarnata

​Arriva su un filo di luce il Cristo Bambino dipinto da Robert Campin nel suo Trittico di Mérode (olio su tavola, 1425. New York, Metropolitan Museum). Arriva su un filo e punta diritto al grembo della Vergine Maria, rosso come il panorama infuocato della storia umana in attesa di un Redentore, ma luminoso ome il cuore di chi è nella grazia. Tra le molte vergini che in Israele trepidavano per l’attesa di un “Go’el”, di un “riscattatore” che liberasse finalmente il popolo dalle infinite schiavitù, solo a una fu mandato l’angelo Gabriele.
Robert Campin, fedele a una lunga tradizione iconografica, dipinge la Vergine tutta intenta alla lettura della Parola. È per questa Parola che conosciamo il destino buono dell’uomo, è la Parola che ci ha rivelato nei secoli il disegno di Dio e la sua meta eterna; il peccato dell’uomo contro Dio anzitutto e, quindi, contro se stesso. Qui abbiamo imparato a declinare il gemito che tutta la Scrittura equipara al tubare della colomba, il gemito che desidera un Salvatore, un Go’el, appunto.
Lo Spirito non c’è nell’opera di Campin: il Bambino giunge a noi non sulle ali della colomba, ma sulle ali della croce. È bello quel filo di luce che dalla finestra ovale (anch’essa segnata dalla croce) giunge fino a noi attraverso il vigile ascolto della Vergine. È bello perché ci riporta al senso etimologico della parola “attesa”, in ebraico strettamente congiunta alla “speranza”. “Ha tikvà”, la speranza, parola che titola l’inno di Israele, presuppone proprio l’esser teso come una corda. Radice del termine tikvà è qav, che significa letteralmente “corda”, non corda floscia, appunto, bensì tesa tra un polo e l’altro, come una linea. Per l'ebreo, l’uomo che attende con speranza, è l’uomo profondamente agganciato al passato e proteso verso il futuro così da vivere in tensione il presente. Chi attende ha fiducia, chi ha fiducia non conosce lo sconforto, la depressione. A ben vedere è l’identikit della Vergine Maria, ma anche del santo, del giusto come Giuseppe.
Non a caso il buon Campin mette nel suo Trittico, proprio nella stanza accanto alla Madonna, san Giuseppe intento a lavorare a un parafuoco. Il lavoro non è casuale: il parafuoco, nella tradizione iconografica medievale, era simbolo della custodia della verginità che l’anziano Giuseppe aveva nei confronti della Vergine Maria. Il fuoco, tuttavia, rimanda anche a quel roveto che ardeva senza bruciare in cui i padri hanno visto, appunto, il mistero della Madonna: feconda eppure vergine, madre eppure illibata.
Nel saluto dell’angelo, rappresentato da Robert Campin nel pannello centrale, il messaggero chiama la Vergine di Nazareth non col nome di Maria, ma con un nome nuovo, arcano: la piena di grazia.
La parola “grazia” è strettamente collegata nel testo biblico alla parola “misericordia”. Misericordia, in ebraico “rachamim”, significa letteralmente “uteri” e rimanda a quell’Utero degli uteri che è Dio stesso. Se misericordia è il nome con cui Dio si affaccia sulla storia umana, grazia è il nome di colui che gli risponde. La Vergine appunto fu piena di quella “hesed” che è risposta totale a Dio. Il nome hesed è scritto in ebraico con tre lettere: la het, la samekh e la dalet. Queste tre lettere nella loro figurazione hanno un particolare significato. La lettera het (? ,(munita di due gambe, ha per i rabbini un rimando esplicito alle due nature di Dio (quella maschile e quella femminile. L’immagine di Dio infatti è per gli ebrei l’unità fra maschio e femmina).
La lettera samekh (? (indica invece un sostegno, nella sua circolarità è un invito a collegare, ad aprirsi al trascendente. La dalet (? ,(infine, significa “porta”. Le tre figure disegnano il significato della parola hesed: Dio si comunica a noi attraverso una porta e quella porta è precisamente la grazia. Non a caso, la Chiesa nei giubilei ci fa passare attraverso una porta, non a caso i due donatori nel Trittico di Mérode guardano al mistero dell’Incarnazione attraverso una porta. L’avvento e il Natale sono, nella scansione del tempo liturgico, il grande portale verso il mistero pasquale, sono tempo di attesa e di grazia che trova compimento nella Pasqua.

di Gloria Riva

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