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Il globo, le mappe, l’infinito e oltre

di Franco Farinelli

​La parola Paradiso deriva da un termine persiano che indica un giardino delimitato da un muro di cinta. E chi avanza dubbi sul fatto che davvero Marco Polo abbia visitato la Cina perché mai cita la grande muraglia, dimentica che, allora come oggi, il mondo si compone di recinzioni, limiti, barriere, confini: sicché non ci si dovrebbe meravigliare che il più famoso viaggiatore del Medioevo non descriva, una volta nel Catai, quel che di più diffuso c’è al mondo.
Questo perché la Terra è il teatro non della zoe, della vita totale e indistruttibile che gli antichi riservavano agli dei, ma del semplice bios, della vita limitata cioè, alla lettera, finita. A partire da questa presa di coscienza, la filosofia stessa – spiegava Wittgenstein – non è nient’altro che “l’arte di fare a pezzi il mondo”, cioè suddividerlo in parti distinte, seppure l’un l’altra contigue. Secondo René Girard tutti i miti raccontano un’unica storia: che il potere non è di chi viene prima ma di chi viene dopo: insomma, l’uccisione del padre. Allo stesso modo tutti i muri, i limiti, i confini predispongono le condizioni per un unico processo, quello del loro superamento, della fuoriuscita rispetto all’ambito da essi individuato, come mostra la storia di Adamo ed Eva. La ragione è alquanto semplice. Un’estensione limitata è la copia di una mappa: si pensi ad esempio allo Stato moderno territoriale centralizzato, come lo chiamava Carl Schmitt, la logica del cui funzionamento è assolutamente geometrica, cioè cartografica. Ma la Terra non è una mappa, bensì un globo, cioè una sfera, qualcosa dunque di irriducibile (spiegano i matematici che si occupano di topologia) a qualsiasi tavola, a qualsiasi superficie piana. Così ogni trasformazione della sfera in una carta geografica implica un residuo, qualcosa che nella traduzione si perde, e diventa misterioso, ineffabile e, oserei dire, sacro. Qualcosa che di conseguenza cresce proprio a misura della proliferazione dei limiti, del progresso nella compartimentazione della faccia della Terra. Ed è proprio questo qualcosa che ha spinto e spinge l’umanità, in tutte le epoche, al superamento dei confini. Come se dal piano matematico l’irriducibilità venisse trasferita sul piano della psicologia – non delle masse, ma di tutti gli esseri viventi –, della fondazione antropologica dei soggetti. 
La modernità nacque proprio quando al modello aristotelico del mondo, impostato sulla forma sferica, ma privo di vuoto, si sostituì quello tabulare, e il mondo iniziò a diventare un’unica, gigantesca carta geografica, vale a dire una struttura spaziale nel senso proprio del termine, delimitata da quattro lati che, a differenza delle linee chiuse di cui si compone la sfera, sono linee aperte, e rimandano così a quel che sta all’esterno, a quel che la rappresentazione non include ma di cui per la natura stessa del modello certifica l’esistenza. Il che schiude però una paurosa possibilità, quella dell’esistenza di un ambito privo di cose, il terribile infinito che a Leon Battista Alberti pareva d’intravedere nel luogo stesso d’insorgenza del moderno spazio: dietro il punto di fuga al centro dell’apertura che, sotto il  brunelleschiano portico dell’Ospedale degli Innocenti, rendeva per la prima volta possibile, all’inizio del Quattrocento, il trucco della prospettiva moderna. Prospettiva che della trasformazione in spazio della faccia della Terra è stata per tutta l’epoca moderna il principale vettore. Oggi al potere dello spazio si è sostituito, a proposito del funzionamento del mondo, il dominio della Rete, la cui logica non conserva quasi più nulla di spaziale: al suo interno la distanza definibile in termini metrici non conta. Ma l’infinito resta, e con esso i luoghi, che sono l’esatto contrario dello spazio, retto dal principio dell’equivalenza generale tra una parte e l’altra. I luoghi conservano invece la memoria dell’archetipica irriducibilità tra lo spazio e la sfera, sono ambiti che non si possono scambiare l’uno con l’altro, cui cioè si assegnano qualità uniche e specifiche. Per il controllo di queste qualità, nel mondo oggi si lotta. Per averne coscienza, cioè per gettare uno sguardo sull’infinito, si è spinti, ai nostri giorni come in passato, a superare ogni confine e ad evadere da ogni recinzione.