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I segni che aprono alla conoscenza

​In un importante saggio pubblicato nel 1952, per fortuna di recente rieditato da Jaca Book (Immagini e simboli, Milano 2015), Mircea Eliade afferma: «Il pensiero simbolico non è di dominio esclusivo del bambino, del poeta o dello squilibrato, esso è connaturato all’essere umano: precede il linguaggio e il ragionamento discorsivo [...] Le immagini, i simboli, i miti, non sono creazioni irresponsabili della psiche; essi rispondono a una necessità e adempiono una funzione importante: mettere a nudo le modalità più segrete dell’essere». Di quale essere si tratta? Non ci sono dubbi: dell’essere dell’uomo, o in termini più rigorosi: del particolare modo d’essere dell’uomo. Di che cosa si tratta?
L’uomo, come ogni altro esistente e vivente, è un essere finito che dimora necessariamente all’interno dei limiti di un determinato “qui”. È uno dei meriti maggiori di tutte le filosofie materialistiche l’avere insistito con forza e sincerità sull’importanza di tali limiti, che solo un pensiero malato o in malafede può illudersi di poter trascurare se non addirittura negare. Tuttavia l’uomo, a differenza di ogni altro esistente e di ogni altro vivente, non si risolve mai nel proprio “qui”, non resta mai del tutto rinchiuso nel proprio “qui”; in effetti egli è anche sempre “là”, è sempre costantemente aperto all’“al di là”. È la particolarità stessa della topologia umana che spesso i materialismi non hanno saputo apprezzare. Infatti: all’interno della propria esperienza il soggetto si trova situato in un “qui e ora” che non è mai separabile dall’alterità di un “là e altrove” che sfugge a ogni manipolazione e a ogni dominio. In tal senso, visto che stiamo parlando di simbolismo, il “cerchio” è un simbolo della vita ma non dell’uomo. Conviene ripeterlo: il soggetto non vive mai solo “qui” ma anche “là” (ad esempio nei propri sogni, nelle proprie attese e speranze, nelle proprie paure e illusioni, nei propri fantasmi e idoli, e così via), e tale “là” è sempre un fattore che apre “al di là”, è sempre il fattore di un’apertura che inquieta la quiete del “qui”.
Martin Heidegger vi ha continuamente insistito: l’apertura (Erschlossenheit) è il tratto essenziale che contraddistingue il modo d’essere dell’uomo: «Nel suo essere più proprio questo ente [l’uomo, l’Esserci, il Dasein] ha il carattere della non-chiusura [...] L’Esserci è la sua apertura (Das Dasein ist seine Erschlossenheit)» (Essere e tempo).
Il simbolo è il segno per eccellenza dell’apertura come carattere essenziale del modo d’essere dell’uomo. Quest’ultimo trasforma sempre ciò in cui s’imbatte in qualcos’altro, apre il qualcosa al qualcos’altro, lo trasforma da semplice oggetto in un’eloquente parola del soggetto; da questo punto di vista ha ragione Ernst Cassirer quando in Saggio sull’uomo scrive che «facendo un confronto con gli animali si rivela che l’uomo non soltanto vive in una realtà più vasta ma anche in una nuova dimensione della realtà [...] egli non vive più in un universo soltanto fisico ma in un universo simbolico. Il linguaggio, il mito, l’arte e la religione fanno parte di questo universo, sono i fili che costituiscono il tessuto simbolico, l’aggrovigliata trama dell’umana esperienza. [...] Anche nel campo pratico l’uomo non vive in un mondo di puri fatti secondo i suoi bisogni e i suoi desideri più immediati. Vive, piuttosto, fra emozioni suscitate dall’immaginazione, fra paure e speranze, illusioni e disillusioni, fra fantasmi e sogni».
Il cristianesimo, all’interno del quale il “là” di Dio si allea definitivamente, intimamente, al “qui” dell’uomo, ha sempre riconosciuto nel simbolo uno strumento insostituibile per dare testimonianza al particolare modo d’essere dell’uomo. In fondo è proprio questo “modo”, così sottile, aggrovigliato e sorprendente, a risultare del tutto incomprensibile sia a coloro che si eccitano con la spiritualità del “là” sia a coloro che si vantano di saper restare concretamente nel “qui”. Per costoro, per riprendere Eliade, solo il bambino o il poeta o lo squilibrato possono ancora perdere tempo con un “qui” che è sempre anche “là”.

di silvano Petrosino