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I filosofi e la vita buona

​Sergio Givone

Vita beata e beatitudine: sono la stessa cosa o due cose diverse?
Diciamo allora per cominciare che il concetto di vita beata appartiene principalmente al mondo pagano, mentre la nozione di beatitudine rimanda al cristianesimo. Beata è la vita che conducono gli dei, i quali non si limitano a starsene in pace nelle loro dimore celesti, ma scendono in terra e perfino negli inferi, condividendo le passioni dei mortali. Ma i mortali soffrono per queste loro passioni, gli dei no. Gli dei se le concedono come un di più, come fonti di piacere, come forme di esuberanza vitale. Gli dei sono mé deoménoi, sono coloro che non bisognano di nulla. E nulla si fanno mancare.
Invece per il cristianesimo la beatitudine è tutt’uno con il senso di povertà, di privazione e quindi con l’aspirazione a una vita diversa, altra. Un’altra vita. La sofferenza diventa addirittura la condizione imprescindibile della beatitudine. Nel Discorso della montagna makàrioi, beati, sono gli afflitti, in cui urge il bisogno di consolazione, sono gli affamati, specialmente di giustizia, sono i perseguitati, che erediteranno il Regno dei cieli, sono i miti, capaci di sciogliere il nodo che lega offesa e vendetta. Beati sono quelli, tra i figli di Dio, che hanno compreso come non ci sia ingiuria che non invochi redenzione. Verrebbe da dire: quanto più insopportabile il male, tanto più necessario il bene.
Eppure è indubbio che fra paganesimo e cristianesimo ci sia continuità. Non a caso per secoli ci siamo raffigurati la vita dei santi in paradiso, almeno per certi aspetti, come quella degli dei. Per poter ascendere al cielo e partecipare della vita divina i santi devono attraversare prove e dolori non dissimili da quelli provati dagli eroi o semidei greci. Emblematico il caso rappresentato da Edipo. In lui si può vedere una specie di martire della verità. Perché la verità si manifesti, bisogna che le contraddizioni che lo dilaniano, fino a ucciderlo, esplodano. Dopo la sua morte, a coloro che chiedono di lui viene detto che è salito in cielo. Ma ciò che qui importa sottolineare, è che Edipo venga definito da Sofocle sia ágios (santo) sia makários (beato). Naturalmente fra gli uni e gli altri, fra i santi cristiani e gli eroi pagani, restano differenze significative. Per i primi la sofferenza è come un’occasione, forse la sola, comunque quella più vera, per avvicinarsi a Dio, e quindi da accogliere fiduciosamente se non addirittura gioiosamente. Per i secondi è invece un retaggio amaro e fatale. Ma le analogie e le somiglianze sono grandi.
Per comprendere questo punto controverso niente come la filosofia può aiutare. È stato Aristotele a sostenere che la vita beata, ossia la vita perfettamente felice, altro non è che la vita libera da preoccupazioni di sorta e interamente dedita alla conoscenza, alla ricerca del vero, alla contemplazione di quel mirabile costrutto che è l’universo. Vita beata è la vita di studio, è la scholè, che i latini tradurranno con otium (l’esatto contrario di negotium, che sta a indicare la vita affaccendata, la vita spesa e buttata via nel perseguimento del proprio interesse particolare e del tutto ignara di qualsiasi comunione nel vero, nel bene e nel bello). Potremmo aggiungere che per Aristotele vita beata e beatitudine in fondo coincidono, poiché beatitudine è quella di chi ha imparato a coniugare libertà e felicità.
Muovendo da questi presupposti c’è stato chi si è spinto fino a sostenere che l’autentica mistica cristiana rappresenta il compimento perfetto dell’antica sapienza greca. Così ad esempio Marco Vannini, sulla scia di Simone Weil. In un piccolo libro prezioso, Sulla religione vera. Rileggere Agostino, da poco uscito per Lindau, Vannini si rifà all’insegnamento di Agostino, il quale ha scritto: «Filosofia - cioè ricerca della salvezza - e religione sono la stessa cosa: questo il principio della salvezza dell’uomo». Prima di citare Agostino Vannini aveva stabilito un parallelo fra Plotino e san Giovanni della Croce sul tema della grazia come esperienza dell’unità profonda di Dio, uomo e cosmo. Se il filosofo pagano ha potuto scrivere che «rifiutando ogni determinazione, sei divenuto il Tutto. Tu ti accresci dunque respingendo ciò che è altro dal Tutto e, se lo respingi, il Tutto ti sarà presente», a sua volta il mistico cristiano proclamerà: «Miei sono i cieli e mia la terra… e Dio stesso è mio e per me, poiché Cristo è mio e tutto per me».