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Casa comune, bene comune

​Maria Antonietta Crippa


Ci  invade talvolta uno stupore improvviso per la bellezza di oggetti e luoghi familiari che costellano il ritmo della vita quotidiana. Ci accade di fermarci in silenziosa contemplazione. Vi scopriamo un’armonia tra opera umana e contesti dati già con tratti di bellezza propria, che tuttavia in se stessa risulta incompiuta, forse persino ferita. Vibra allora in noi, e ci affascina, il riverbero di una immediata corrispondenza tra mondo esterno e interiorità della coscienza per quest’esito che qualcuno ha saputo generare a vantaggio di tutti, ad esempio in un fiore reso domestico da sapiente coltura o in un luogo reso abitabile da mani esperte.
Dell’invenzione diventiamo subito partecipi, la scopriamo nostra. E d’improvviso comprendiamo il senso vero della biblica signoria dell’uomo sul mondo creato: affermazione non di dominio, bensì di regale primato di nobiltà, responsabile di un innalzamento a sé del mondo intero per reciproca appartenenza e comunione di destino. Niente è più intimo a noi stessi di questa esperienza che prefigura e in qualche modo anticipa la salvezza di tutto il creato. Paradossalmente, con intensità quasi dolorosa, ne avvertiamo subito anche il valore di riscatto da una lotta impari, assicurato in quest’anticipo di trasfigurazione. L’armonia che nella grande arte Leon Battisti Alberti chiamava concinnitas risuona anche nel segreto delle opere più umili. La bellezza è diffusa ma è anche sempre e solo sorpresa, perché è dono.
Il fogliame di un albero che cambia colore di stagione in stagione, fino a cadere per rinnovarsi; una piazza o un viale alberato che consentano di vivere tra città e campagna con ristoro; un giardino o un campo a coltura che promettano abbondanza; un orizzonte tra cielo e terra invaso da luce solare, cangiante ad ogni ora del giorno: sono queste le coordinate di un abitare quotidiano nel quale ognuno vorrebbe inscrivere con costanza la propria dimora, ben saldata al suolo e con spessi muri protettivi. Dimora non solo sua bensì popolata da persone care, non isolata ma, con altre, sede di grappoli di famiglie che compongono borghi, città, territori, patrie.
Occorre però darsi un tempo per passare dall’occasione percettiva eccezionale al godimento degli innumerevoli squarci di bellezza che abitiamo. Occorre rendere lo sguardo acuto per stimolare, in noi e attorno a noi, una cultura dell’abitare consapevole del proprio debito nei confronti della natura, in cui ci si trova inseriti. Occorre farsene eredi consapevoli per impegnarci ad averne cura. Occorre, infine, essere leali con sé stessi: da questa bellezza di cui siamo coautori ci allontaniamo di continuo. La nostra cura dei luoghi abitati e dei contesti naturali è infatti altalenante, in un pendolare susseguirsi di attenzione e di abbandoni. Siamo ad essa infedeli e tuttavia votati alla sua continua ripresa nell’incombere di tutte le difficoltà, le pandemie, i dolori, le sconfitte. A questa bellezza abitata e contemplata, segno dell’alleanza di Dio con noi, diamo il nome anche di bene comune.
Coloro che hanno steso la Costituzione italiana hanno dato questo nome all’abitare in città e paesaggi. Lo hanno inteso infatti come bene comune materiale e immateriale nell’infinita varietà di legami tra uomini e cose che disegnano il nobile profilo delle nostre comunità. Prendersi cura della nostra casa e della nostra nazione implica un utilizzo sobrio, non vorace, di tutto ciò che chiamiamo natura, e un’amicizia sociale la più estesa e inclusiva possibile. Papa Francesco ha chiamato questo impegno ecologia integrale. Con insistenza egli ci invita all’esercizio di una saggezza sensibile, affettiva – ricca di prudenza, creatività, senso del bello, devozione per il mondo creato, predilezione per il povero e lo scartato – in grado di opporsi a degrado, violenza, sfruttamento. Sta a noi comprenderne la profonda semplicità, in lui sorretta dalla speranza del possibile rinnovarsi di un’avventura antica quanto l’uomo, quella iniziata due milioni di anni fa, come dicono gli scienziati, con la nostra presenza sul pianeta. Il suo è un pressante e cortese invito a restare ancorati alla realtà, la nostra e quella della natura con i suoi ritmi e le sue leggi, e al desiderio di bene iscritto nel cuore di tutti gli uomini.