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Una chiesa per scolpire il villaggio

​di Mario Botta

La chiesa di Saint-Nicolas a Hérémence, un villaggio cresciuto con case e chalet sulle ripide pendici di una montagna nel Canton Vallese, in Svizzera, è certo l’opera più impressionante e significativa fra i numerosi edifici di culto realizzati dall’architetto Walter Maria Förderer (1928-2006) negli anni ‘60, che hanno contrassegnato una sua fortunata stagione professionale.
Förderer, formatosi come scultore, ricerca presto con determinazione un proprio ambito espressivo architettonico che gli permetta (attraverso la sua sensibilità plastica) un’organizzazione degli “spazi vergini” da lui declinata con un personalissimo linguaggio, forte e severo, nell’ambito di una forma espressiva – il “new brutalism” – che domina il dibattito culturale di quegli anni.
Di fatto, sono le trasformazioni liturgiche che hanno suggerito i cambiamenti attuati dal Concilio Ecumenico Vaticano II a offrire occasioni per sperimentazioni di nuove forme tipologiche inedite per la disciplina.
In questi decenni Walter Maria Förderer è figura di riferimento europea per l’appropriato uso del calcestruzzo armato, che gli consente un linguaggio complesso della configurazione formale, linguaggio anche facilmente adottabile grazie alle forme organiche delle planimetrie, paradossalmente molto semplici rispetto alla complessità che assumono nei prospetti. Infatti, le architetture di Förderer, osservate tridimensionalmente, presentano una forte articolazione plastica, con un continuo rincorrersi dei rilievi e un gioco di luci e ombre che modella l’intradosso degli spazi.
Al di là della tipologia ecclesiale dell’aula, presbitèri, cappelle, abside, matronei e nicchie sono elaborati all’interno di uno spazio fluido continuo, arricchito, nel perimetro esterno, da collegamenti, rampe, scale e spazi che relazionano i differenti livelli esistenti negli immediati dintorni. La chiesa rinuncia a una sua propria volumetria identificabile sotto il profilo formale e privilegia volumi complementari e collegamenti con l’intero villaggio. Non è possibile parlare di una semplice chiesa, ma si deve connotare un insieme edilizio che realizza una vera e propria ricucitura urbana. La forza di questa soluzione è strettamente legata alla realtà spaziale e distributiva delle articolazioni; risiede nella qualità stessa degli spazi che offrono al fruitore protezione, spazi di ombra e di luce, gallerie e soste che fanno dell’intorno un insieme organico fra aree collettive e zone private.
Il “dono” di offrire spazi pubblici è proprio dell’espressività artistica di questa personalissima architettura, dove l’intorno dell’ecclesia ritorna ad avere una nuova centralità. Il cittadino si muove da protagonista all’interno del villaggio, forse inconsapevolmente realizzando quella integrazione delle arti auspicata nei decenni precedenti dal Movimento Moderno, e che ora si configura come integrazione delle attività del vivere collettivo dove finalmente scompaiono le barriere dello “zoning”, che hanno purtroppo condizionato gran parte dell’urbanistica europea contemporanea.
La divisione delle quotidiane funzioni umane del muoversi nello spazio scompare, finalmente, per lasciar posto a una più libera aggregazione di strade e percorsi all’interno del villaggio.