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Sul Monte Tamaro un dialogo tra roccia e cielo

​Mario Botta

La committenza della cappella di Santa Maria degli Angeli sul Monte Tamaro (Svizzera) giunse in modo inaspettato all’inizio degli anni Novanta. In quel periodo la costruzione della chiesa di San Giovanni Battista a Mogno, in Valle Maggia, subiva continui rallentamenti e si trovava in una difficile impasse. Mentre ero investito dalle polemiche, giunse la telefonata di Egidio Cattaneo che mi proponeva di realizzare quel progetto sul Monte Tamaro, sopra Lugano. Risposi all’imprenditore e mecenate che non era possibile spostare, come un oggetto qualsiasi, un’architettura ideata per un contesto in un altro. Tuttavia mi riservai di fare un sopralluogo.
Andai sul Monte Tamaro in una giornata d’inverno in cui nevicava, e l’Alpe Foppa imbiancata non mi diede a prima vista grandi stimoli per il progetto. Mentre prendevo il caffè con Egidio Cattaneo al ristorante, poco lontano dal luogo dove oggi sorge la cappella, ebbi delle intuizioni e feci uno schizzo iniziale. Il disegno risultava dalla lettura di questo promontorio che spunta dalla montagna come una propaggine naturale. Mi piacque da subito l’idea che la stradina che scendeva dal Monte Tamaro (1.962 metri di altitudine) si concludesse sull’Alpe Foppa con la nuova chiesa. Pensai inoltre a un belvedere soprastante per godere della vista panoramica che spazia dal lago di Lugano a Bellinzona e al Lago Maggiore e ancora fino all’agglomerato urbano di Milano.
La cappella, progettata tra il 1990 e il 1992 e realizzata tra il 1992 e il 1996, è collocata a 1.530 metri di altitudine e la si raggiunge da Rivera con la cabinovia o a piedi con ore di cammino. La difficoltà di accesso è anche la metafora di un’architettura realizzata in condizioni estreme, basti  pensare al trasporto del materiale da costruzione con mezzi d’eccezione.
La chiesa ricorda l’immagine – suggerita da Enzo Cucchi, maestro della Transavanguardia – di un chiodo di pietra conficcato nella montagna, che appoggia laddove c’è la stradina che diventa un elemento orizzontale, un lungo passaggio, slanciato verso l’infinito, che offre due percorsi. Uno conduce al belvedere che domina la valle sottostante, e l’altro scende all’interno di due muri fino a giungere all’ingresso della chiesa. Il tetto si articola come una scalinata ad anfiteatro rivolta verso la montagna. Lo spazio all’interno dell’edificio sacro è scandito dal contrasto fra i muri circolari in grassello nero e la struttura bianca del soffitto. La navata centrale ribassata culmina nella piccola abside che fuoriesce dal volume cilindrico per dare respiro alla luce zenitale che mette in risalto la monumentalità delle mani aperte incise da Enzo Cucchi, che ha realizzato anche altri interventi, tra i quali  spiccano le ventidue formelle sovrastanti le finestrelle che inquadrano gli scorci della valle. Si tratta di tarsie di immagini che interpretano le “litanie” alla Madonna del teologo Giovanni Pozzi, che riassumono gli attributi biblici e popolari nei secoli dati a Maria.
Tutta la chiesa è in realtà un consolidamento del promontorio naturale. La geografia si fa pietra e diventa altro rispetto alla natura per trasformarsi in una figura geometrica. Nella costruzione mi sono avvalso di forme semplici, come il cilindro della chiesa e il rettilineo del percorso di accesso, e di un solo materiale, la pietra, molto simile a quella della montagna. Il grande fascino dell’opera architettonica promana da queste figure elementari che parlano della ragione, declinata nella geometria e nella matematica, in contrasto dialettico con le forme organiche del pendio delle montagne e dell’intorno. È un dialogo muto tra lo spazio modellato dall’uomo e lo scenario imperante della natura fra terra, roccia e cielo.
Solo quando la cappella fu terminata scoprimmo che Egidio Cattaneo l’aveva voluta in memoria di sua moglie, che si chiamava Mariangela. «Allora la dedicheremo a Santa Maria degli Angeli», propose senza esitazione padre Pozzi.