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Simone e Giuda, fratelli nella fede

​Maria Gloria Riva

È una storia di fratelli, quella della Chiesa delle origini: Simone e Giuda Taddeo ne offrono un esempio.
Secondo quanto riporta la Legenda Aurea, i due erano fratelli di Giacomo il minore, figli di Maria di Cleofe, una delle donne che seguì il Salvatore fin sotto la croce, in parentela stretta con Gesù.
Giuda Taddeo, dopo l’Ascensione, iniziò la sua missione a Edessa nella Mesopotamia, nel regno di quel re Abdgaro che, desideroso di guarire dalla lebbra che lo affliggeva straziando le sue carni, aveva scritto una lettera a Gesù Cristo invitandolo presso di sé. Il Signore, non potendo andare, gli inviò una missiva di risposta con un telo che, usato per asciugarsi il volto, recava impressa la sua immagine. Era il famoso Mandylion di Edessa.
Giuda Taddeo, giunto al cospetto del re, fu trattato con tutti gli onori in quanto apostolo, e presa la lettera del Signore la passò sul volto del sovrano guarendolo.
Simone, invece, evangelizzò anzitutto l’Egitto. L’evangelista Luca lo chiama Simone lo Zelota per distinguerlo da Simon-Pietro. Matteo e Marco, invece, lo definiscono “il cananeo”. Da ciò si ritenne che lui e tutta la famiglia fossero originari di Cana ma, in realtà, col termine Qanà (che significa: ardere di zelo) si indicava un movimento politico in lotta contro i Romani detto, appunto, degli zeloti (in greco Kananaios). Le notizie che abbiamo circa questo apostolo sono molte e contraddittorie, e le fonti extra bibliche distinguono Simone, fratello di Giuda, da Simone detto il cananeo. L’iconografia del santo segue però, spesso, la Legenda Aurea, testo al quale qui ci si attiene.
Dopo le differenti missioni Simone e Giuda Taddeo si ritrovarono uniti a predicare il Vangelo in Persia. Ha inizio qui la vicenda che li porterà al martirio, e che l’artista Stephan Lochner raffigura, cogliendo tutto in un solo sguardo.
Un generale persiano si affidava ad alcuni maghi-sacerdoti per vincere le sue battaglie, ma scoprì che gli oracoli fallivano a causa della presenza dei due apostoli. Ne nacque una sfida che vide i due fratelli vincitori e i maghi fuggire nella città di Sammir. Questi ultimi attesero che Simone e Giuda si spostassero nella suddetta città, ove avevano sobillato altri maghi al fine di ucciderli.
Lochner dipinge un carro processionale recante due idoli, il Sole e la Luna: i due apostoli infatti incontrarono i maghi-sacerdoti davanti al tempio del dio Sole. Per bocca di un angelo essi avevano compreso che, se desideravano davvero ottenere la salvezza della città, era giunta per loro il tempo del martirio. L’altare su cui poggia il carro della morte allude, infatti, al loro sacrificio.
Richiamato il silenzio Simone e Giuda dissero al popolo che quegli idoli contenevano demoni e non divinità e, ordinando ai demoni di manifestarsi, ecco due esseri neri uscire dagli idoli. In preda alla rabbia i demoni distrussero gli idoli e fuggendo mandarono alte grida.
I sacerdoti, allora, inferociti si avventarono sugli apostoli e li uccisero. Nello stile narrativo e solenne, tipico del tardo gotico, i due fratelli cadono in ginocchio colmi di pace. Portare la pace e non la discordia, nemmeno la vendetta sui nemici, era stato, del resto, il loro motto. Così Simone veste il verde della vita e il rosso della carità, mentre Giuda il manto bianco della grazia e della santità. Insieme morirono e insieme le loro reliquie sono custodite dal 27 ottobre 1605 nella basilica di San Pietro all’altare dedicato dal 1963 a san Giuseppe. Curiosa coincidenza questa che li vede, anche da morti, uniti alla famiglia terrena di Gesù.