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Ritorno da Costantinopoli

​Non è facile il ritorno da Istanbul. È Bolis, “la Città” – come Roma è “l’Urbe” – anche per quelli che se ne sono andati da generazioni, e conservano il tragico ricordo di persecuzioni, di ingiustizie sopportate in silenzio e infine di una partenza imposta, pericolosa e improvvisa. I greci di Turchia che furono scacciati nel 1955, nell’ultima ondata di nazionalismo, non hanno potuto tornare per tanti anni. Ma quando, recentemente, c’è stata la riapertura delle frontiere, sono iniziati “viaggi della memoria”: i discendenti delle popolazioni massacrate e scacciate dall’Anatolia e dalla Città vogliono tornare, rivedere i luoghi delle memorie familiari, ritrovare la patria perduta.
Anastasia era bambina quando fu portata via. I suoi ricordi erano infantili e vaghi. Ma quando, tre anni fa, è ritornata nella Città per pochi giorni, con un viaggio organizzato, si è sentita a casa – dice – come non le era mai accaduto in tutto il tempo in cui è vissuta, ha lavorato e si è sposata ad Atene. Lo stesso è accaduto alle amiche con cui ha fatto il viaggio. E così sono tornate l’anno successivo, e di nuovo quest’anno, e ogni volta la partenza è più difficile, «lacera il cuore», ripete appassionatamente Anastasia. Vanno in pellegrinaggio nei luoghi dove sorgevano le loro case di un tempo, e ognuna ricorda qualcosa o qualcuno: il fioraio all’angolo della strada, il panettiere con la moglie strabica (ma che ci vedeva benissimo se qualcuno rubava un panino con l’uvetta), il calzolaio che raccontava le fiabe.

Alcune case, alcuni negozi sono ancora là. Qualche greco vive ancora nel quartiere, una chiesa funziona, un altro panettiere fa le focacce choereg. L’amoroso abbraccio della Città funziona ancora, con le piazze e i resti bizantini, i palazzi costruiti dai famosi Balian, gli architetti armeni dei sultani, i venditori ambulanti e le loro grida. Ma soprattutto i tramonti dorati, i caffè dove si beve tè o tan freschissimo, il bazar e le strade affollate. Non hanno dimenticato, Anastasia e le sue amiche, ma in fondo al cuore pensano che nessuno le verrà a cercare per far loro del male, adesso che sono vecchie, in una città così grande. Ci si perderanno dentro, ritroveranno la protezione dell’antica capitale bizantina, loro, discendenti dei greci orgogliosi che tennero in piedi l’impero per un millennio. Ma greci e armeni furono fratelli nella sventura: e proprio ieri ho visto su internet le foto delle antiche pietre tombali del cimitero armeno, che prima della catastrofe stava dove oggi c’è piazza Taksim, quella delle recenti manifestazioni. Stanno, sepolte a testa in giù, nei sotterranei dell’hotel Hilton.

di Antonia Arslan