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PENTAGRAMMA 172

Un brano musicale in lingua italiana, a una voce sola e con accompagnamento di strumenti, articolato secondo la successione di strofa e ritornello: volendosi fermare al puro aspetto formale e strutturale, appare chiaro come la lauda rappresenti l’antenato più illustre della canzone popolare del nostro Paese. Ampliando il discorso a un livello più generale, risulta invece evidente come il patrimonio musicale, letterario e spirituale delle laude sia una delle ricchezze più preziose che sta alle radici della nostra storia culturale.Nell’Italia centrale della prima metà del XIII secolo, scossa da quel fermento religioso e spirituale che ha caratterizzato la forte spinta propulsiva dei nascenti ordini predicatori e mendicanti, sono fiorite numerose confraternite laicali, all’interno delle si sono affermate forme devozionali comunitarie che intende vano coinvolgere fasce sempre più ampie della popolazione.
 
Senza velleità artistiche o compiacimenti estetizzanti, a intonare i brani più veri e intensi del repertorio medievale delle laude era infatti la gente comune: contadini, artigiani, bottegai, ma soprattutto semplici e umili fedeli. Non a caso questi canti non sono nati in seno ai grandi ordini dottrinali (come i cistercensi o i domenicani), ma nella famiglia dei frati minori; la lauda è infatti un genere tipicamente francescano, e non è ancora un caso che proprio san Francesco d’Assisi con il Cantico di Frate Sole (i cui versi non lasciano dubbi: «Laudato si’...») sia considerato il vero patriarca-fondatore della poesia in lingua italiana.
 
Proprio come oltre tre secoli dopo, nella Roma accesa dalla spinta controriformistica promossa dal Concilio di Trento, è stato un altro santo del popolo – san Filippo Neri – che, guardando al passato per essere moderno, ha recuperato il termine lauda per definire i brani chiamati ad accompagnare quotidianamente le funzioni religiose presso la chiesa di San Girolamo della Pietà e la nascente Congregazione dell’Oratorio, fino ad arrivare all’istituzione di un repertorio di assoluto valore artistico grazie al contributo dei più eccelsi maestri attivi in quel tempo nella Città eterna, come Animuccia, Ancina, Soto de Langa o i fratelli Anerio. Narrazioni evangeliche in lingua italiana (in un momento in cui la Chiesa rimetteva il latino al centro) e in musica – così come lo erano le laude drammatiche medioevali – che saranno la base dell’oratorio, genere che proprio dall’ambiente filippino prende il nome. Il canto che si fa preghiera nella preghiera che si fa canto: in questo intreccio indissolubile possiamo lasciarci ancora oggi coinvolgere dall’intensità espressiva, dall’immediatezza comunicativa e dalla disarmante bellezza di queste musiche senza tempo.
 
di Andrea Milanesi
ha collaborato Alessandro Beltrami