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Oltre la vacanza, la brezza che fa vibrare il mondo

​Arrivano per il week-end, se le previsioni meteo sono favorevoli. È l’avanguardia, precede e annuncia la bella stagione dando inizio all’immane battaglia del finito, controllato e rassicurante, contro il selvatico, l’inquietante. Tosaerba e decespugliatori branditi come armi d’assalto, il casco protettivo a rimarcare la pericolosità dell’operare. Attorno alle case normalmente vuote e sigillate ma perfette compaiono, ogni lunedì, piccoli appezzamenti rasati con cura maniacale. L’estetica del napalm come segno d’ordine nel possesso.
Arriva l’estate, la stagione delle vacanze, delle ferie, di quel tempo libero che dovrebbe riequilibrare il tempo asservito alle necessità del guadagnarsi di che vivere. Un tempo squisitamente cittadino che aspira a diventare metropolitano e, virtualmente, lo è già. Ci si appresta a varcare la soglia in cui decadono la storia e la geografia, le pluralità e le differenze, accomunati in unica categoria di appartenenza: utenti/consumatori del materiale e dell’immateriale. La socialità affidata alle nuove tecnologie, la fisicità del vivere in balia di una finanza internazionale che non conosce alcun limite oltre il proprio profitto. Un tempo moderno concepito e promozionato come un prodotto di mercato, la pubblicità più azzeccata della stagione lo riassume in uno slogan adolescenziale beffardo e accattivante: «Domani è una figata».
Chi vive appartenendo a una cultura che ha plasmato e reso possibile il presente, da cui continua a trarre preziosi insegnamenti cumulati con fatica in alterne vicende, ne focalizza le incongruenze, le vistose semplificazioni, la pericolosità. La cosa che davvero lascia allibiti è la radicale rimozione dello stesso concetto di male, la convinzione che l’umanità sia impastata nel bene e tutto sia riducibile a un computo dei diritti e al conseguente legiferare. In uno sgretolamento materiale incontenibile, tra mancanza e speranza, le comunità di montagna sperimentano la tripartizione dell’essere: i residenti, gli abitanti del fine settimana, i vacanzieri estivi. Tutti confidando nel turismo, l’ideologia del tempo libero, a cui è stata consegnata l’economia dei monti. Chi mantiene un sempre più vago e sfilacciato legame con il paese d’origine guarda con punte di commiserazione chi è rimasto e rende merito alla propria doverosa scelta di andarsene: come si fa a vivere in un posto in cui non c’è niente di ciò che oggi è considerato indispensabile? Pochi apprezzano le difficoltà di connessione, ancor meno la lontananza da non si sa bene cosa, ma è indubbio stia da qualche altra parte.
Si narra di un mondo mitologico delle scienze e delle comunicazioni, una età dell’oro che ci attende in un prossimo futuro determinato dall’intelligenza artificiale, l’ultima versione aggiornata e, insieme, la negazione dell’ideale umanista. Chi evoca con sguardo estetico il passato lo arricchisce di un’aura romantica in cui vivono e fioriscono rapporti naturalmente buoni di un tempo che fu senza essere mai stato. Nel tempo che fu era ben evidente che questa è una valle di lacrime, pur sempre un dono, non richiesto e immeritato, oltremodo coinvolgente. È il mistero del vivere, sospeso tra il finito, caduco, che sperimentiamo quotidianamente e un alito, una leggera brezza, che feconda e fa vibrare il mondo.