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Nel vuoto denso di novembre

​Sono un lettore/giurato di un piccolo premio letterario alla sua seconda edizione da poco conclusa. Pensato in ricordo di Raffaele Crovi, scrittore/editore, è dedicato all’Appennino: il grande vuoto italico che come ragnatela di affetti familiari intermittenti e piccoli interessi sopravvive sgretolandosi in un abbandono che ha il gusto della sconfitta. Morfologicamente impossibilitato alla socialità contemporanea è in questo consolante: anch’io mi reputo inadeguato. Ho con la lettura e la scrittura un rapporto complesso, indagato, sedimentato nel tempo, nutrito di riflessioni e animato da buoni propositi. Molto personale, nelle scelte e nei rifiuti. Leggere così tanti testi, così diversi tra loro, in così poco tempo, non fa per me. Perdo tutto il piacere della lettura che è sempre anche studio, divento intollerante con la scrittura, tendo al sarcasmo: chi ce lo fa fare, mi ci metto anch’io nel mucchio, di scrivere e pubblicare? Non posso chiudere un libro e pensare: tempo perso. Gettare libri nella spazzatura mi pare un atto di lesa maestà, ma l’ho fatto. Il bisogno di silenzio coinvolge la parola scritta, si erge come argine all’immane chiacchiericcio che la tecnologia della comunicazione fomenta e alimenta: parole, immagini, suoni, saturano i giorni, atrofizzano mente e spirito.
Ho sempre percepito lo scollamento tra il ciclo naturale delle stagioni e l’organizzazione del vivere sociale come l’origine della dualità reale/virtuale ora imperante. È una frattura incolmabile e l’ossessione meteo, ultima idolatria, ne ha frantumato i contorni accentuandone il distacco. Si vive un eterno presente tendenzialmente asettico e garantito, che la tecnologia controlla cercando di determinare. Quando tutto è cominciato si trattava di offrire comodità, benessere materiale – encomiabile intenzione –, ma superato un limite, difficile a definirsi, al naturale è succeduto l’artificiale. La cultura, che nemmeno più immagina il culto che l’ha generata, ha spodestato la natura occupandone lo spazio. Ne deriva un malessere diffuso e rancoroso anche quando materialmente appagato, brancolante nell’insoddisfazione. Il benessere ha componenti materiche ma resta una dimensione dello spirito.
Novembre è, nell’anno, il mese difficile. L’autunno vivido di colori si smorza, ingrigisce con tocchi violacei, le giornate s’accorciano e arriva il freddo. Porte e finestre diventano varchi di una frontiera che separa l’interno dall’esterno, l’accomodante dalle intemperie. La luce si ritrae ma concentrandosi nel poco tempo disponibile offre profondità di sguardo altrimenti impossibili. Le due festività con cui inizia, Ognissanti e la commemorazione di tutti i defunti, lo legano al passato eterno, e sfocia nell’Avvento, sigillo di ogni speranza. Il miracolo dell’estate di san Martino a strappare un sorriso. Attraversate con alterne fortune le diverse età della vita senza sottrarmi a tentazioni e lusinghe ma ben cosciente circa gli obblighi e i doveri naturali, percepisco ora la liturgia come lo scrigno inviolabile in cui tutta la storia dell’uomo è contemplata, dalla Creazione all’Apocalisse. Una dimensione a cui abbandonarsi con fiducia, nel silenzio che è attenzione, meditazione, partecipazione al mistero del vivere accettandone la realtà. Novembre guarda lontano, meglio approfittarne.

di Giovanni Lindo Ferretti