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La tecnologia alleata del sacro

​A metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini promuove un programma per l’inserimento di nuovi luoghi di culto negli agglomerati delle periferie. In questo ambito, la chiesa di Baranzate, a nord di Milano, s’inserisce come un felice esempio di sperimentazione architettonica e liturgica, che interpreta lo spirito di rinnovamento perseguito in quegli anni.
L’intervento si presenta come un’opera di grande interesse, soprattutto per la tipologia adottata, che anticipa riflessioni e indicazioni consolidate in seguito dal Concilio ecumenico Vaticano II. Una chiesa che sa interpretare un cambiamento epocale del linguaggio, proposto in quegli anni dai protagonisti della ricerca e della cultura architettonica europea, Le Corbusier, Aalto, Michelucci, Schwarz…
Attraverso l’adozione di nuovi sistemi costruttivi, introdotti per la ricerca di una possibile prefabbricazione industriale del manufatto architettonico (la chiesa è infatti pensata come modulo ripetibile nelle differenti collocazioni periferiche), Mangiarotti e Morassutti giungono a una nuova configurazione spaziale, nella quale le pareti perimetrali dell’aula assembleare s’innalzano traslucide – dal pavimento al tetto – a disegnare un suggestivo spazio che diviene forma di luce sulla totalità della superficie.
La sperimentazione di nuovi materiali e tecnologie stravolge anche i tradizionali modelli architettonici consolidatisi attraverso i secoli. Si modellano così nuove forme espressive – inedite e sorprendenti – conformemente a quanto avviene nell’ambito delle arti visive per opera delle avanguardie artistiche. Sono cambiamenti che, prendendo spunto da componenti tecniche, diverranno segni di quel preciso momento storico e influenzeranno sensibilità diverse nella percezione visiva e nelle forme di giudizio artistico e sociale; cambiamenti che ci allontaneranno definitivamente da quanto ritenuto acquisito fino a un recente passato.
L’interesse della chiesa di Baranzate è anche dovuto a un’accelerazione nei tempi di esecuzione che modifica radicalmente i modelli precedenti. Perfino nella cultura nordica post-Bauhaus si dovranno attendere anni prima di giungere a configurazioni architettoniche convincenti nell’applicazione delle nuove tecnologie.
La chiarezza progettuale e la semplicità dell’impianto strutturale si manifestano nei quattro pilastri portanti la copertura di pannelli nervati prefabbricati (belli e intelligenti). Pilastri che offrono grande libertà alle pareti perimetrali autonome caratterizzate da profili metallici e pannelli traslucidi autoportanti.
Questa nuova tipologia prende forza anche nel camminamento d’ingresso, che accompagna il visitatore dalla soglia al battistero per poi salire, tramite una scala posta al centro dell’aula, nello spazio della chiesa, avvolto totalmente nella luce diffusa come se ci trovasse all’interno di una grande lanterna.
La chiesa di Nostra Signora della Misericordia deve essere considerata una bella architettura nella quale l’intensa luce generata dalla configurazione geometrica dello spazio favorisce il silenzio e la meditazione. Un progetto che richiama lo spirito vissuto dalle avanguardie razionaliste che operavano come «quando le cattedrali erano bianche».

di Mario Botta