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La chiesa diventa paesaggio

di Mario Botta

​Il giovane Richard England, architetto fresco di studi, stava svolgendo un periodo di apprendistato nello studio milanese di Gio Ponti quando ebbe modo di visitare, assieme allo stesso Ponti, la cappella di Le Corbusier a Ronchamp. Quella visita deve essere stata una forte emozione se, ancora dopo parecchi anni, permetteva a Richard di affermare tranquillamente che «esistono solo chiese moderne prima di Ronchamp e chiese moderne dopo Ronchamp».
Quella straordinaria opera viene considerata uno spartiacque storico rispetto a una tipologia ecclesiale oggi da ossequiare. È indubbio che l’opera di Le Corbusier nell’architettura moderna risuoni come Guernica nel lavoro di Picasso, tale è l’innovazione e la forza espressiva del linguaggio adottato.
Dopo quella visita alla cappella di Notre-Dame du Haut il destino volle che il padre, Edwin England, affidasse al figlio l’incarico progettuale per la nuova chiesa di Manikata, a Malta, offrendogli così un importante impegno professionale. Il sito prescelto nel territorio variegato dell’isola si presenta come un promontorio; una condizione privilegiata con gli insediamenti del villaggio sul versante a meridione e un’ampia distesa incolta sull’altro fronte.
La nuova chiesa, quasi fosse un castello sulla sommità del rilievo che viene appianato, si configura come una cittadella con alte mura che convergono verso lo spazio interno e disegnano una navata allungata per l’aula assembleare e il presbiterio autonomo più compatto e raccolto attorno all’altare.
Le indicazioni liturgiche suggerite dal Concilio Ecumenico Vaticano II vengono accolte e interpretate con un linguaggio volutamente elementare dove a ogni spazio disegnato corrisponde una funzione. La forza plastica adottata dall’architetto («l’architettura è il gioco sapiente dei volumi sotto la luce», osservava Le Corbusier) assegna un ruolo principale alle superfici delle murature che si snodano ondulate ricoperte di intonaco grezzo, rafforzando in questo modo la luce propria della condizione mediterranea.
Tutte le superfici esterne presentano una tinteggiatura di colore ocra, lo stesso colore adottato anche per i muri di sostegno e di recinzione; come se la stessa terra della collina trovasse rilievo laddove necessario. Lo sguardo d’insieme della collina con il villaggio ha così un proprio “compimento” nella parte alta del terreno che si confronta con l’orizzonte: è il lavoro dell’uomo che prosegue e consolida la conformazione della natura con un andamento sinuoso dei tracciati che disegnano spazi interni-esterni quasi fossero un ricamo del paesaggio.
La chiesa di San Giuseppe di Manikata, proprio come aveva insegnato Ronchamp, ha trasformato l’intera collina grazie ai meandri concavi e convessi generati da tracciati geometrici nascosti.
La chiesa non è pensata come un edificio autonomo ma come una complessa composizione paesaggistica, con l’alternarsi di spazi e camminamenti che convergono nello spazio centrale dell’assemblea all’interno, e sfociano, all’esterno, in un nuovo spazio-sagrato che circonda l’edificio; uno spazio di silenzio, di contemplazione e di preghiera appena sopra il villaggio.