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La chiesa di Sant’Antonio Abate a Recoaro, anima del razionalismo

Mario Botta

​La chiesa di Sant’Antonio Abate a Recoaro Terme è intrigante tanto quanto il suo progettista, l’architetto Giuseppe Vaccaro (1896-1970), figlio del periodo più felice del Razionalismo italiano, ma totalmente ignorato dalla critica del dopoguerra. Certamente un ottimo costruttore con un animo d’artista, capace di mediare le aspettative della “modernità” con la grande tradizione italiana. Un personaggio dotato di intelligenza compositiva e del coraggio necessario per avanzare soluzioni inaspettate con immagini nuove, disarmanti e talvolta perfino naïf. È il caso della parrocchiale di Recoaro Terme – la cui prima pietra viene posta nel 1950 –, ancora lontana dall’ondata delle nuove istanze liturgiche che stavano maturando in quei tempi con studi e dibattiti in Germania, ma già sensibile alle nuove forme plastiche veicolate dal Movimento Moderno e dalla “ricerca paziente” di Le Corbusier e compagni.
Giuseppe Vaccaro guarda con intelligenza critica all’architettura classica ma è anche aperto alla produzione delle “avanguardie artistiche” che operano a Parigi e dintorni. È un architetto dotato di uno straordinario senso plastico, capace di comporre attraverso la luce, forte e intensa, ulteriormente evidenziata da un sapiente gioco di ombre. In quegli anni sono poche le risorse economiche a disposizione e questo, paradossalmente, indirizza l’architetto verso scelte radicali senza timore di confronti e contrasti; scelte fra le parti “disegnate” e praticabili e quelle “residue” da integrare nel disegno. Un atteggiamento progettuale disinvolto che necessita di una vigilanza critica continua da parte dell’architetto: anche in questo mestiere le opportunità risultano direttamente proporzionali ai rischi progettuali. Ma questa chiesa mostra una grande capacità costruttiva nella combinazione fra le differenti componenti: il confronto fra la qualità della luce che inonda il poligono absidale del presbiterio e quella generata dal serrato ritmo delle centine di carpenteria della navata diviene una vera invenzione compositiva, così come lo è la scelta della facciata piatta e tesa come una lapide ma ritmata da un disegno cromatico ripetitivo, senza margine, quasi fosse un’opera “concettuale”. Anche i dettagli degli snodi fra le differenti parti offrono soluzioni architettoniche appropriate, come il raffinato “finale” fra la lunetta che agisce da timpano e il cielo o l’elegante rientranza di gronda fra il tetto a falde dei corpi bassi laterali e la muratura perimetrale o, ancora, la sporgenza della protezione del “rosone” della facciata.
Particolari costruttivi apparentemente insignificanti ma che nel­l’arte “povera” del costruire fanno la differenza. Attraverso i dettagli questo linguaggio architettonico può essere letto come un “collage” edile di immagini antitetiche per esprimere le quali l’autore – “complice consapevole” – possiede un’ammirevole disinvoltura intellettuale, soprattutto se pensiamo che negli anni del dopoguerra la coerenza stilistica era probabilmente una condizione etica da evitare.
Questa chiesa di Recoaro Terme riflette bene un tempo storico eroico durante il quale, in una collettività ancorata agli stilemi del passato, comincia ad affermarsi una spinta moderna, anche se bisognerà lasciar passare buona parte del XX secolo prima di legittimare definitivamente il linguaggio contemporaneo.