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L’ultim Paolo secondo Rembrandt

​di Maria Gloria Riva

Rembrandt scruta l’ultimo domicilio coatto di Paolo con la luce tremula di una lampada a olio. Entriamo anche noi nello studio dell’apostolo ormai vecchio e prossimo al martirio. Ci avvolge un calore nuovo e si apre al nostro sguardo un Paolo inedito. Sono lontane le parole infuocate dell’antico Saulo di Tarso, lontane le innumerevoli fatiche, le persecuzioni offerte per Cristo: vediamo  un anziano apostolo circondato dalle sue lettere e dai suoi scritti, ammassati in primo piano. Il tavolo dello studio si impone: Rembrandt ci conduce così a comprendere che solo con un’attenta lettura degli scritti dell’apostolo, solo avvicinandoci all’interpretazione paolina circa il Mistero di Cristo, possiamo conoscere la statuaria grandezza di Saulo di Tarso. In lui vita e opere si fondono interamente: fu, infatti, sulla via di Damasco che imparò il Mistero della Chiesa quale Corpo Mistico del Redentore, là su quella via dove Cristo s’identificò totalmente con i suoi discepoli perseguitati.
L’artista coglie Paolo seduto, seguendo il fascino che tale posa esercitava sui luministi caravaggeschi. Seduto e solo: le folle che lo acclamavano, i discepoli e le chiese da lui fondate, le persecuzioni sono un ricordo lontano, fissato nella memoria della sua passione per il Signore.
Dopo i libri, appese al muro si notano due spade, ricordo della sua antica lotta contro la “setta” cristiana, ma anche annuncio del martirio a lui prossimo. Paolo, cittadino romano, non morirà crocifisso o sbranato dalle fiere come i forestieri, morirà decapitato come il Precursore di Cristo, il Battista. Somiglianze fra san Paolo e san Giovanni Battista, del resto, non mancano: una certa rudezza di carattere e soprattutto lo spirito anticipatore e profetico. Paolo fu il grande precursore della cristianità, colui che aprì definitivamente le porte dell’alleanza in Cristo ai goim, ai gentili, senza che si sottoponessero alle pratiche della legge mosaica.
Tutto questo bagaglio di ideali e di tensioni grava sul capo dell’ormai anziano apostolo, proprio come le due spade appese al muro.
Sotto, egli medita assorto, pare assopito, ma solo per l’occhio distratto. Se guardato a lungo e a fondo ci rivela l’oggetto della sua meditazione: «Sono messo alle strette tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d’altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne. Per conto mio, sono convinto che resterò e continuerò a essere d’aiuto a voi tutti, per il progresso e la gioia della vostra fede (Fil 1,23-25)».
La capacità di Rembrandt di rendere questa doppia tensione, l’amore a Cristo e l’amore alla Chiesa, così caratteristica in Paolo, è straordinaria.
Dal lato sinistro del quadro piove una luce artificiale intensa. È quella che illumina il volto, il pensiero, quella che cade sulla spalla destra, ma lascia in ombra il braccio destro di Paolo. Impugna ancora la penna, ma appare ormai stanco. È il servo inutile che pur senza aver esaurito il mistero del Maestro sa di aver fatto tutto, almeno tutto quello che era in suo potere di fare. È ormai giunto il tempo di sciogliere le vele e approdare al porto della comunione piena e totale con Cristo, il dolce cigno della via di Damasco.
A destra del dipinto entra la luce solare: è la luce che lascia in ombra i libri e le pergamene, che inonda le spade e il braccio sinistro. Solo ora ci accorgiamo di quel braccio potente che pare raccogliere le ultime forze dell’apostolo. Egli, appoggiandosi sul tavolo con le nocche, fa leva su se stesso per balzare in piedi e ripartire. Quel braccio rivela il Paolo missionario, l’instancabile fondatore delle chiese.
Le due luci descrivono due tensioni, le due braccia i due amori: da un lato il desiderio di essere con Cristo, dall’altro l’urgenza di nuove missioni per salvare nuove anime. San Paolo, che potrebbe dire con Jacopone da Todi: Cristo me trae tutto tant’è bello, è anche colui che vive l’opera di un Altro. Ne esce a tutto tondo la forza del suo messaggio: solo l’unione con Cristo e l’anelito per l’eternità spingono alla missione, rendendo più certo e caro il presente.