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In lode della signora Luigina

di Antonia Arslan​

Vent’anni fa andai a insegnare alla Fordham University di New York. Partii a metà gennaio del 2000, con molto entusiasmo, lasciando a casa il mio caro Paolo che raramente – e con molti brontolii – trovava la voglia di muoversi. Lavorava in quel momento da noi una simpatica giovane signora sarda che si era separata da poco da un marito piuttosto manesco, e sognava di avere un bar da gestire insieme al figlio.
Noi le volevamo molto bene, e avremmo preferito tenerla con noi, ma coi sogni è difficile discutere, perciò sapevamo che la cara Rosanna sarebbe volata via appena avesse trovato la soluzione che le conveniva: il che avvenne poco dopo la mia partenza. Seguì un periodo piuttosto confuso, durante il quale il povero Paolo si dovette arrangiare da solo: non tanto in cucina – ambito nel quale era bravissimo – ma nel fare colloqui, riflettere e decidere sulla nuova signora, per cui ogni sera, al telefono, ci trovavamo immersi in concitate consultazioni, invece di scambiarci tenerezze.
Ma un giorno mi chiamò fremente di entusiasmo: aveva conosciuto nel pomeriggio una certa signora Luigina, che gli era piaciuta molto, parlava un bel veneto e aveva l’occhio intelligente. E aggiunse: «Ma come faccio a decidere da solo? E se poi quando torni ti arrabbi?». Fui molto lusingata dal ruolo importante che mi attribuiva, e senz’altro gli dissi che per me andava bene. Fu così che entrò in casa nostra una persona speciale.
La signora Luigina mostrò subito di che pasta era fatta. Prese in mano le redini in modo deciso e cortese, andando subito molto d’accordo con Paolo, ma anche con me, quando ritornai dall’America. E l’idillio non fu interrotto, ma rinsaldato dalla morte di Carlo, il mio fratello minore, che proprio in quel periodo fu investito da una motocicletta selvaggia mentre tornava a casa a piedi. Era il 28 di aprile, Sabato Santo, e il mio semestre era ancora in corso. Tornai a Padova in un paio di giorni, e lì incontrai per la prima volta la signora Luigina, e fui subito consolata dal suo sorriso caldo e dalle sue parole affettuose, anche se non ci eravamo mai viste.
Scoprii poi, un poco alla volta, che la sua capacità di empatia era notevole, come la sua vivissima curiosità di apprendere e la sua prontezza di spirito. E infatti, nei vent’anni trascorsi da allora, quante chiacchiere, quanti sorrisi, quante veloci risposte al telefono al mio posto, e quanti delicati suggerimenti!
Abbiamo, in casa, sempre apprezzato l’antica lingua veneta, che Paolo parlava benissimo, duettando con Luigina. Io mi deliziavo nell’ascoltarli, tanto che a un certo punto ho cominciato con lei a raccogliere i sapidi proverbi della tradizione e certe parole rare che stanno uscendo dall’uso. Me le scrivevo sui miei foglietti di note, che poi perdo regolarmente; ma ogni tanto li ritrovo e mi metto a sorridere da sola, ripensando per esempio alla precisissima distinzione fra brósema e sisàra (entrambe significanti brina), sulla quale i due esperti discussero a lungo...
 Un paio d’anni fa, Luigina venne con me in Nagorno-Karabakh, dove arrivammo su un elicottero militare. E là riuscì a dominare, a gestire, un folto gruppo di cuoche e a preparare per cinquanta persone uno splendido risotto di sedano e sfiziosi piattini di profumati fagioli nostrani. Poi, non contenta, si è messa a imparare l’inglese.