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Il mistero di una vita incastonato in un anello

​Era un piovoso pomeriggio di marzo di tanti anni fa, l’aria era ancora fredda, e io avevo poca voglia di lavorare a un articolo che non mi convinceva molto. Decisi di fare una pausa, mi misi il cappotto rosso e uscii per una passeggiata sotto i portici, di cui la mia città è molto ricca, acchiappando al volo, sulle scale, un vecchio ombrellino a pois.
Mi avviai verso il Ghetto, verso un negozio di biscotti, dolcetti, tè e cioccolata varia che frequentavo spesso, e irradiava la sua luce gioiosa da dietro un portichetto seminascosto in mezzo agli alti palazzi antichi. Mi rifornii di amabili gradevolezze e – tornata di buonumore – mi infilai per un vicolo che portava all’antica bottega di un raccoglitore di vecchi gioiellini (era anche un bravissimo orafo), che esponeva su polverosi vassoi all’interno di una vetrinetta che sporgeva sulla strada.
Erano anellini consumati, orecchini portati per anni innumerevoli, qualche ciondolino smaltato; ed era un grande divertimento entrare e frugare nei suoi vassoi, prima in quello grande, poi nei due piccoli a lato. Poi farsi dare la lente, e perdersi a guardare i particolari di quegli umili preziosi ottocenteschi: l’oro era pochissimo, le pietruzze modestissime, ma meticoloso e accurato il lavoro di cesellatura, fatto con accurata, antica maestria.
In quel giorno piovoso gli oggettini sui vassoi mandavano poca luce, si confondevano uno con l’altro; ma io mi misi a fantasticare sulla flebile eco che conservavano della semplice vita di chi li aveva portati addosso, e poi donati a una figlia, una nipote; e sui colori delle piccole pietre, sugli ingenui smaltini con visi di paffuti angioletti. In mezzo, c’era un anellino modesto, un sottile cerchietto d’oro che sembrava intaccato e mi s’infilò quasi da solo sul dito. Subito mi piacque, e lo comprai.
Ma non era un’intaccatura, era un’iscrizione, che a casa riuscii facilmente a decifrare: “Tho.Palmer.Ob.15.Mar.1763.Aet.17”, cioè “Thomas Palmer obiit 15 martii 1763 aetatis 17” (Thomas Palmer morì il 15 marzo 1763 a diciassette anni). Il piccolo anello era il ricordo di un ragazzo morto nel fiore dei suoi anni mentre arrivava la primavera: forse era stato fatto fare dalla madre (o da una donna che lo amava?). La pietruzza blu al centro del piccolo castone brillava, intorno le facevano corona due diamantini ancora più piccoli, ma quella luce non si era estinta, l’anello c’era ancora, e così il ricordo del giovane Thomas.
Era vissuto, pensavo, in Inghilterra, e certo non era ricco. Ma era un apprendista, un mozzo, un valletto? Com’era finita la sua breve vita? La morte era arrivata per lui sotto forma di gioco o di incubo, di terrore o di quieto allontanarsi della vita? Ci pensavo spesso, e guardavo l’anello, come per un tacito colloquio: e così lui divenne per me un po’ alla volta il silenzioso amico del cuore, che restava sempre giovane, col corpo scattante e le guance lisce, ma viveva in un misterioso altrove, nel tempo-senza-tempo di coloro che sono andati dall’altra parte. E l’anello del suo ricordo era arrivato a me come un segno sottile, una voce lontana che non si impone ma sussurra, e ricorda che la morte è parte della vita, è “cosa semplice e conforme a natura”, come avviene al tenente Drogo nell’ultimo bellissimo capitolo del Deserto dei Tartari...