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Gli angeli nascondono le ali

Antonia Arslan

Abbiamo tutti familiarità con gli angeli. E sappiamo tutti che cos’è un angelo: una creatura con le ali, prima di tutto, che può fare quello che per tanti millenni è stato uno dei sogni più forti della razza umana, volare. Icaro, in preda all’ebbrezza del volo, si bruciò le ali avvicinandosi troppo al sole; e innumerevoli sono stati nei secoli i tentativi – teorici e pratici, a cominciare da Leonardo fino ai molti inventori di stravaganti congegni – di attaccarsi al corpo delle quasi-ali e provare a volar giù senza danno da tetti o torrioni.
Ma un angelo è anche un amico: un messaggero della divinità, come significa il suo nome, ma un messaggero benevolo in figura di corpo umano, che diventa angelico perché è provvisto di ali; e compare nelle leggende originarie dei popoli più diversi, come le belle, femminee Lase alate delle tombe etrusche. Mettendo in relazione il divino e l’umano, trasmette la speranza e ci consola, nell’umana nostra solitudine di creature che non possono vedere il futuro e corrono senza posa verso il loro ignoto destino.
Ora, se davvero ciascuno ha un suo angelo, si comprende meglio l’infinita varietà di questi esseri misteriosi – e tuttavia in qualche modo nostri parenti – che pittori e scultori hanno rappresentato di secolo in secolo: in forme diversissime e molteplici, adulte o spesso infantili, che però esibiscono tutte un paio di belle ali robuste, adatte a remigare nei cieli.
È solo in questa nostra epoca diffidente che gli angeli, per venire in nostro aiuto, cominciano a travestirsi, come se il nostro scetticismo ci impedisse di credere alla loro esistenza, e ci fosse bisogno prima di un lungo apprendistato. «Siamo tutti degli increduli Tommasi – mi ha detto mesi fa un caro amico, inventore e scienziato serissimo – eppure ci sono talmente tante cose, là fuori nella realtà, di cui stupirsi profondamente e che non sappiamo spiegare...!». E tuttavia, ce lo confermano molti personaggi di opere deliziose, se vogliono venire fra noi, essi oggi si mimetizzano e si rivelano lentamente.
La sera del 25 dicembre, per esempio, ho rivisto il famoso La vita è meravigliosa di Frank Capra, che per gli americani è “il” film di Natale per eccellenza. L’angelo Clarence non ha proprio le ali: ci appare in una camicia stazzonata, buffo ometto imbranato che se le deve conquistare impedendo al protagonista George Bailey di suicidarsi. La cosa gli riuscirà, ma quanto lavoro per riuscire a convincere il disperato George di essere davvero colui che dice di essere!
E giorni fa su una bancarella di libri usati ho ritrovato un libro perduto (o ingenuamente prestato), che avevo molto amato: Lo zio prete di Luigi Santucci. Sono dieci racconti affascinanti dove si dispiega una variegata e un po’ beffarda presenza angelica, immersa nell’atmosfera avventurosa di un Medioevo da favola. Storie che mi davano gioia e che ho riletto mille volte, screziate dalle parole di un linguaggio fantasioso come piume di pappagalli esotici. Umili angeli come fra Gelsomino e l’asina Secca, gli angioli custodi malandrini sul brigantino in rotta verso il Levante, gli angioli rossi che fiammeggiano sulla disperata battaglia di frate Porfirio: in ogni pagina mi riconoscevo e ognuna alleviava la mia inquietudine, con la voce sommessa di un amico sicuro in tempi calamitosi.