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Federico Colli il dolore secondo Bach

​Pierachille Dolfini

L’immagine è poetica. Perché per Federico Colli il sacro è «la radura dell’oltre». È, per dirla filosoficamente con il pianista bresciano, «un luogo totalmente altro». Un luogo di cui tutti abbiamo fatto esperienza «attraverso il silenzio, attraverso un tramonto come diceva Gibran, anche se resta difficile da definire a parole» spiega Colli, musicista raffinato, profondo conoscitore della teologia e delle scritture. La musica, che fa strada al suono del sacro, «può essere un luogo dove fare questa esperienza, uno strumento attraverso il quale lasciar entrare questo altro nella nostra realtà».
Musica che per Colli «aiuta a colmare quello scarto tipico del sacro che irrompe incontrollabile nella nostra vita. Pensiamo a Giobbe – riflette il musicista, classe 1988 – che voleva far ragionare Dio dicendo: perché la tua ira se io sono stato buono? E Dio irrompe e dice: dove eri tu quando io creavo il mondo? Un’inondazione dell’oltre, l’esperienza dell’entusiasmo, di essere abitati da Dio». Musica che racconta questo incontro, salvifico, che si realizza sulla croce. E il maestro pensa a un’immagine, quella della Crocifissione di Masaccio a Capodimonte.
Immagine contrappuntata dalle note della Ciaccona, pagina per violino di Johann Sebastian Bach dalla Partita n.2 in re minore del 1720, trascritta per pianoforte nel 1893 da Ferruccio Busoni. «La più fenomenale trascrizione di tutta la storia della musica» spiega Colli che la studia e la suona da tempo. «Un amico seminarista – dice il pianista – mi ha proposto una lettura cristologica di questa pagina, partendo da una lettera dove Busoni afferma che solo il divino merita la nostra ammirazione. Il compositore sentiva su di sé la possibilità di glorificare Dio con la sua arte».
Una danza, la Ciaccona, fatta di un inciso di quattro battute che si ripete sempre variato. «Tre parti, la prima in re minore, la seconda in re maggiore e la terza in si bemolle maggiore. Tre icone della vita di Cristo. E quando si apre il brano siamo già in medias res, siamo sul Calvario e sentiamo i chiodi che si infliggono nelle mani e nei piedi di Gesù per inchiodarlo alla croce. E qui ecco un flash back, battute musicali che ripercorrono in modo evocativo la vita di Cristo» spiega il pianista raccontando che «quando suono questa pagina penso sempre al cammino della Via Crucis: un crescendo lentissimo, che diventa sempre più mastodontico, quasi strabordante,  va oltre le capacità fisiche di sopportazione del­l’essere umano. Una musica che ti fa entrare nel mistero del dolore».
Qui, dopo 33 variazioni, spiega Colli, Busoni mette il cosiddetto diabolus, il tritono, l’intervallo musicale che prevede una distanza di tre toni fra una nota e l’altra, e produce uno straniamento nell’ascolto «per introdurre una riflessione sulla morte». Per dire, con il passaggio in re maggiore della seconda parte, che «la morte di Cristo non è l’ultima parola. Uno scampanio da tutto il mondo racconta di gente che guarda alla Gerusalemme celeste. E anche questa seconda parte termina, ma non si chiude, con un accordo, lasciando aperto il discorso».
Sulla terza icona, quella in si bemolle maggiore, Colli si chiede: «Non si poteva chiudere con la Resurrezione? Meditando su questa pagina, suonandola, mi si è affacciata alla mente l’Apocalisse, la grotta di Patmos con Giovanni intento a scrivere che sarà la parusia l’ultima parola, che con la seconda venuta di Cristo la Gerusalemme celeste entrerà nel nostro mondo e si insedierà per l’eternità». Un quadro dipinto da Busoni «con accordi troppo grandi che non si possono prendere con le dieci dita della mano, per dire l’impossibilità di catturare l’infinito». Non solo. «Sull’accordo finale Busoni scrive tra parentesi un diesis, accorgimento che può far terminare il brano in maggiore o in minore, cambiandone completamente il carattere». Una scelta lasciata al pianista: un esempio, si dice certo Colli, del libero arbitrio, perché «ci racconta la musica, questa musica; il Giudizio dipenderà da come ci comportiamo oggi».