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Creta e il profumo della gioventù

​Dentro ognuno di noi c’è un deposito dei ricordi, come una scatola misteriosa che all’improvviso si materializza nella mente, come se fosse sempre stata lì, a portata di pensiero. Si apre una memoria, viva e vera: e rinasce spesso attraverso l’odorato, fra i sensi quello più oscuramente collegato con le nostre intime sensazioni, il grimaldello che fa scattare e rivivere emozioni primarie. Sia essa di gioia o dolore, furore o tristezza, esaltazione o melanconia, l’emozione deve essere forte, a colori intensi e netti.
Anche nei sogni riemergono i ricordi, ma sono così frantumati e mescolati che la brezza del mattino li dissolve, e ne resta solo una vaga eco d’umore; oppure li raccontiamo riordinandoli, come presagi o ammonizioni... Fu così che giorni fa, quando mi capitò all’improvviso di sentire un intenso profumo di sandalo, per un lungo momento mi sentii come irretita in un’altra epoca, in anni lontani. Guardai davanti, verso il fondo della strada, e mi pareva di vedere mio fratello Carlo, quella volta che non si era accorto di essersi rovesciato addosso un’intera bottiglia di bagnoschiuma al sandalo. Lo prendemmo in giro per mesi, chiamandolo pascià levantino, frequentatore di hammam, lui che fra noi era l’unico che sembrava un vero orientale, somigliante a uno degli zii armeni di Siria, piccolo, moro e robusto, con occhi di giaietto.
Col profumo di sandalo, fu un’intera valigia di ricordi a rovesciarsi addosso a me. Quell’estate Carlo era venuto con noi nella grande Creta. Traversammo l’isola da ovest, dalla baia di Souda fino al paesino di Aghios Nikolaos (da dove poi andammo alla punta orientale, la spiaggia di Vai con le sue palme maestose), su una corriera traballante che ci impiegò più di sei ore; e a metà strada, dopo aver valicato un erto crinale, l’autista si fermò – e ci fece tutti scendere – per accendere un cero al santo Ghiorghios che dalla sua venerata edicola proteggeva il punto più difficile del cammino. Poi tutti insieme mangiammo polpette e Coca-Cola.
L’episodio della bottiglia di bagnoschiuma avvenne quella prima sera, quando finalmente potemmo tutti fare una breve doccia (l’acqua non abbondava), sicché Carlo non riuscì a sciacquarsi di dosso l’olezzo penetrante del sandalo, che sormontava tutti gli altri odori e profumi del paese, compreso il cibo. Bistecche e frittata di patate, risògalo e fette di croccante pane dorato, tutto sapeva di sandalo e di bagno orientale.
E Carlo rideva, rideva, lui di solito così serio, un po’ musone, e agitava la bottiglia semivuota minacciando sfracelli. Nella lunga sera estiva ci prendemmo per mano, e io cantavo, cantavo, mescolando versi e ritmi, e nessuno degli altri mi seguiva, ma non m’importava, mi piaceva il suono della mia voce. Finimmo a guardare la luna su un muretto, scherzando sugli effluvi del sandalo, con chiacchiere infinite.
Tu sei altrove, oggi, fratellino. Travolto da una motocicletta selvaggia mentre tornavi a casa, te ne sei andato in tre giorni, disteso abbandonato e inconsapevole su un letto di marmo, e non c’era più intorno a te, mio principe dei gigli, nessun profumo di sandalo. E oggi qualche volta io abbraccio il tuo grande orso di pezza, che ancora conserva una lieve traccia di quel profumo.

di Antonia Arslan