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Betlemme di Fiandra

​Tornando in patria dopo lunghi anni di servizio sulle piazze del Nord Europa come agente del Banco Mediceo, Tommaso Portinari volle offrire a Firenze, la sua città, una quota non piccola dei suoi cospicui profitti di banchiere attraverso la donazione di un grande e costoso capolavoro di pittura (gli artisti delle Fiandre erano notoriamente e giustamente carissimi). Tommaso commissionò allora un’opera a Hugo van der Goes, famoso pittore fiammingo del XV secolo. Quando  il 28 maggio 1483 la grande tavola giunse a Firenze, dopo un lungo viaggio per mare prima e poi sull’Arno, fu issata all’altezza di Porta San Frediano da sedici uomini e trasportata in corteo alla chiesa di Sant’Egidio, a cui era destinata, nell’ospedale di Santa Maria Nuova.

Ed ecco il dipinto che sta nel cuore degli Uffizi, nella Sala dedicata a Botticelli (qui sono esposte la Nascita di Venere e la Primavera) a rappresentare l’altro polo della Rinascenza europea, quella che trovava la sua ragione poetica nella mimesi del mondo visibile, nella rappresentazione dei minima di verità e di natura. È un trittico, grande, perché doveva stare sull’altare di una chiesa. Quando le ante sono chiuse, presentano a grisaille l’immagine dell’Annuncio a Maria. Il trittico spalancato racconta invece il mistero vertiginoso del Natale. Dio è nato e anche se è inverno e i rami degli alberi si ritagliano neri e spogli contro il cielo, questo è un giorno di sole, di atmosfera tersa e luminosa. Perché Cristo è lux mundi, luce del mondo, l’universo Lo accoglie come si accoglie il sorgere del sole. La mattina di Natale è la prima mattina di primavera.

Ma chi c’è ad adorare il Dio che è nato? C’è la sua mamma, la Vergine Maria, c’è san Giuseppe, ci sono il bue e l’asino consapevoli e anche orgogliosi di essere coprotagonisti del presepio, ci sono gli angeli del cielo che portano vesti sacerdotali e officiano, con compunta gravità, il rito della adorazione eucaristica. Infatti tutti gli astanti sono consapevoli che quell’esserino nudo depositato per terra dove splende in un piccolo lago d’oro, è Dio onnipotente ed eterno. Poi ci sono i pastori. Il Vangelo dice che furono i pastori, gli ultimi della terra, a rendere omaggio per primi a nostro Signore. Hugo van der Goes, che era uomo di fede e di Chiesa, volle interpretare alla lettera il senso del messaggio evangelico. I suoi sono pastori veri, sono mandriani venuti dalla valli dello Hainaut e del Brabante, sono poveri uomini segnati dalla miseria e dalla fatica. Rozzi e incolti, non sanno dove mettere le mani né come togliersi il cappello. Eppure il Regno è per loro. Guardate il vecchio pastore in primo piano, dal volto grinzoso e ispido di barba mal rasata. Ebbene io non conosco, nella storia dell’arte, un altro viso che esprima, più di questo, la felicità del Natale.
In primo piano c’è la natura morta forse più intensa di tutto il Quattrocento europeo. Un vaso di maiolica, un bicchiere di vetro e un piccolo fascio di spighe stanno di fronte a noi. Il vaso contiene dei fiori (il candido giglio, l’iris violetto) allusivi alle virtù della Madonna – il vetro è figura del concepimento  verginale di Maria perché la luce lo attraversa senza romperlo – mentre il fascio di spighe è simbolo del cibo eucaristico, del Corpus Christi che la nascita di Gesù promette a tutti gli uomini.

Di fronte a un simile prodigio di poetico naturalismo possiamo capire perché quelle che noi italiani chiamiamo “nature morte” sono per gli artisti del Nord still leben, vite silenziose. Perché una vita silente che obbliga alla contemplazione e allo stupore abita le cose inanimate. Questo sapevano gli artisti del Nord Europa e questo raccontano nei loro dipinti.
Nelle ante laterali del trittico ci sono i committenti, Tommaso Portinari con la moglie Maria e i figli Margherita, Antonio e Pigello, introdotti al mistero della Natività dai loro santi protettori. Al Natale di Cristo una famiglia italiana che conosceva il mondo e aveva vissuto all’estero offre se stessa, presenta il tesoro dell’amore e dei sentimenti condivisi. Questo è il messaggio che ci arriva dal trittico Portinari.

di Antonio Paolucci