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sguardi sull'infinito

Era un giovane uomo di soli ventuno anni Giacomo Leopardi quando a Recanati, duecento anni fa, scrisse L’infinito. Pochi versi per un tema, letteralmente, immenso. Due secoli dopo, le conoscenze dell’uomo sull’infinito, sotto il profilo matematico, scientifico, filosofico sono più ampie, ma quasi nulla ancora riesce a eguagliare con la stessa chiarezza di logica e vastità di emozioni i versi dell’ermo colle. Il nuovo numero di “Luoghi dell’Infinito”, il mensile di arte e cultura di “Avvenire”, in edicola da martedì 8 gennaio, è un omaggio alla celebre e amata poesia, in occasione del suo bicentenario, e al tema dell’infinito.
Nell’editoriale, Roberto Mussapi definisce l’uomo un “cacciatore di infinito” e presenta il poeta come un ambasciatore di questa passione inscritta nel Dna della specie. La parola “infinito” non ha una storia altrettanto lunga; nelle culture antiche, anzi, era sostanzialmente ignota. Il cardinale Gianfranco Ravasi osserva come la Bibbia non conosca questo termine, ma allo stesso tempo esprima l’infinito attraverso una fioritura di simboli, perifrasi e immagini. D’altronde, come spiega lo storico Franco Cardini, per la cultura classica infinito era sinonimo di imperfezione, mentre solo ciò che è in sé conchiuso e definibile è perfetto. È stato il cristianesimo ad avviare una trasformazione essenziale: l’infinito è la dimensione del divino. Arriva quindi dall’eredità classica la difficoltà con cui anche la filosofia ha imparato a maneggiare questo concetto, che, come spiega il filosofo Sergio Givone, è tutt’ora un “concetto limite”.
Davide Rondoni, entrando da poeta nei versi di Leopardi, mostra come nell’Infinito il recanatese abbia raccontato un’esperienza rivelatoria, in cui sono centrali le reminiscenze bibliche. Il presidente del Centro mondiale di poesia Giacomo Leopardi, Umberto Piersanti, esamina quindi la sacralità naturale del poeta, il cui naufragare nel mare dell’Essere interroga e stimola la spiritualità e la mistica cristiane.
Infinito e architettura, e in particolare in rapporto con il paesaggio, è il tema affrontato da Maria Antonietta Crippa. Elena Pontiggia compie lo stesso tragitto nei territori della pittura, mentre è Pierachille Dolfini a rievocare i suoni della musica del silenzio.
Da ultimo, l’infinito nella scienza e nella matematica. Nel primo caso è Silvano Tagliagambe, filosofo della scienza, a raccontare come nel macro e nel microcosmo la possibilità della vita sbocci dall’intreccio dinamico di ordine e disordine, così che la stessa bellezza può nascere soltanto sull’orlo del caos. L’epistemologo Giuseppe O. Longo scende lungo il brivido matematico dell’abisso seguendo l’impresa vertiginosa di Cantor, lo scopritore di “un’infinità di infiniti”.

A partire da questo numero alle rubriche di Mario Botta, Anna Maria Cànopi, Andrea Milanesi e Antonio Paolucci si aggiungono quelle del geografo Franco Farinelli sul mondo attraverso le mappe, del monaco di Bose Guido Dotti sui temi dell’ecumenismo, e del filosofo Sergio Givone sulla storia della bellezza. Per l’amatissima firma di Antonia Arslan inizia invece una nuova rubrica, dedicata alle amicizie umane e letterarie.