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il fascino del Medioevo

L’Età di mezzo ha declinato la bellezza sia nelle forme “eroiche” del cavaliere, sia in quelle divine di Cristo e angeliche di Maria

La cattedrale di Notre-Dame a Parigi (XII-XIV secolo): la navata centrale

La cattedrale di Notre-Dame a Parigi (XII-XIV secolo): la navata centrale

​In un saggio tradotto in italiano nel 1948, Progresso e religione, Christopher Dawson si chiedeva «perché un cavaliere è più “bello” di un agente di cambio». La questione resta valida ancor oggi, anzi lo è tanto più in quanto il tempo nel quale viviamo appare molto poco “cavalleresco” mentre gli agenti di cambio o i loro sofisticati successori postmoderni ne parrebbero tra i principali protagonisti.
Ma perché un cavaliere – nel senso eminentemente medievale di professionista della guerra caratterizzato da uno status ritualmente e iniziaticamente legittimato – dovrebbe esssere “bello”? In che cosa risiederebbe la sua bellezza? Nella descrizione stereotipata che ne danno i romanzi cortesi, nei quali balenano reminiscenze del “cànone” formale espresso dall’armonia delle membra del Doriforo scolpito nel V secolo a.C. da Policleto? Ma che cos’è poi questa “bellezza”, una parola della quale più si usa e si abusa nel linguaggio (passato e presente) e che pure rappresenta un argomento tanto temibile e sfuggente che, per esempio, l’autorevole Enciclopedia europea Garzanti (e non è la sola…) evita di concederle un lemma? Ed è valore universale – magari connesso con il modello classico: e rieccoci a Policleto – o varia a seconda dei tempi e delle culture? E ha connotati comunque obiettivi o è viceversa soggettiva, secondo il noto adagio “Non è bello quel ch’è bello, è bello ciò che piace”? ......