il fascino del Medioevo
L’Età di mezzo ha declinato la bellezza sia nelle forme “eroiche” del cavaliere, sia in quelle divine di Cristo e angeliche di Maria
La cattedrale di Notre-Dame a Parigi (XII-XIV secolo): la navata centrale
Vetrate di Notre-Dame de la Belle-Verrière (1140-1150), vetrata n. 17. Chartres, cattedrale
Maestro Venceslao, Ciclo dei Mesi. Gennaio (fine XIV-inizio XV secolo), affresco. Trento, Castello del Buonconsiglio, Torre dell’Aquila
Sedia episcopale di Elia (XII secolo), marmo. Bari, cattedrale di San Nicola
Corona imperiale tedesca (X-XII secolo), oro e pietre preziose. Vienna, Kunsthistorisches Museum
Il castello di Fénis (XIV-XV secolo) in Valle d’Aosta
Il Cortile dei Leoni dell’Alhambra di Granada (XIV secolo)
La cappella palatina del Palazzo dei Normanni di Palermo, con mosaici bizantini (1143) raffiguranti Cristo in trono tra san Pietro e san Paolo
Veduta absidale della chiesa dell’abbazia di San Giovanni in Venere di Fossacesia (XII secolo)
La dama e l’unicorno (1484-1500), arazzo proveniente dal castello di Boussac. Parigi, Musée National du Moyen Âge de Cluny
In un saggio tradotto in italiano nel 1948, Progresso e religione, Christopher Dawson si chiedeva «perché un cavaliere è più “bello” di un agente di cambio». La questione resta valida ancor oggi, anzi lo è tanto più in quanto il tempo nel quale viviamo appare molto poco “cavalleresco” mentre gli agenti di cambio o i loro sofisticati successori postmoderni ne parrebbero tra i principali protagonisti.
Ma perché un cavaliere – nel senso eminentemente medievale di professionista della guerra caratterizzato da uno status ritualmente e iniziaticamente legittimato – dovrebbe esssere “bello”? In che cosa risiederebbe la sua bellezza? Nella descrizione stereotipata che ne danno i romanzi cortesi, nei quali balenano reminiscenze del “cànone” formale espresso dall’armonia delle membra del Doriforo scolpito nel V secolo a.C. da Policleto? Ma che cos’è poi questa “bellezza”, una parola della quale più si usa e si abusa nel linguaggio (passato e presente) e che pure rappresenta un argomento tanto temibile e sfuggente che, per esempio, l’autorevole Enciclopedia europea Garzanti (e non è la sola…) evita di concederle un lemma? Ed è valore universale – magari connesso con il modello classico: e rieccoci a Policleto – o varia a seconda dei tempi e delle culture? E ha connotati comunque obiettivi o è viceversa soggettiva, secondo il noto adagio “Non è bello quel ch’è bello, è bello ciò che piace”?
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