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Rimini, capitale del Trecento

​Gli affreschi di Sant’Agostino sono punto di riferimento, per tutto l’Adriatico, della nuova pittura che guarda a Giotto

​Antonio Paolucci


Gli affreschi del Sant’Agostino di Rimini stanno alla storia della pittura riminese del Trecento come quelli di Santa Croce a Firenze (Taddeo Gaddi, Bernardo Daddi, Maso di Banco e gli altri) stanno alla storia della pittura fiorentina dello stesso secolo. In Sant’Agostino, chiesa identitaria della Rimini storica (il suo campanile romanico domina lo skyline cittadino) si conservano i fondamentali della scuola pittorica riminese del Trecento; una scuola «raffinata, spesso squisita» (Cesare Brandi), destinata a diffondersi lungo tutta la dorsale adriatica, da Pomposa a Tolentino, da Ravenna a Fabriano.
La chiesa ha subito rinnovamenti radicali in età tardo barocca ma gli affreschi della cappella absidale, scoperti nel 1916, e in seguito opportunamente restaurati e valorizzati, si sono salvati e oggi costituiscono l’attrazione principale dell’edificio. Per capire l’importanza degli affreschi del Sant’Agostino, bisogna prima comprendere quello che accadde in Italia, nel campo della pittura, fra gli ultimi anni del XIII secolo e i primi del XIV. Tutto nasce dal cantiere assisiate di Giotto. È lì, nei murali della Basilica Superiore con la vita di san Francesco, che prende forma «nella scoperta del Vero e nella certezza dello spazio misurabile» (Longhi) la nuova lingua figurativa degli italiani. Ad Assisi Giotto compie l’operazione che il coetaneo e concittadino Dante Alighieri realizzava, negli stessi anni, nel campo della lingua. La rappresentazione del Vero di natura, quindi, ma anche di quello emotivo e psicologico; la resa figurativa «delle attitudini e degli affetti» (Vasari) da una parte e, dall’altra, la scoperta della profondità ambientale, dello spazio abitabile. Questo è il senso della rivoluzione giottesca destinata a fruttificare nell’opera di Masaccio (“Giotto rinato” secondo Berenson) e da lì in tutta la storia della grande pittura italiana, da Piero della Francesca a Raffaello.
Ebbene, la prima generazione nata dall’insegnamento di Giotto si ha negli affreschi di Giovanni da Rimini con Storie della Vergine nella cappella detta “del Campanile” nel Sant’Agostino di Rimini, databili al 1303. Se il cantiere di Assisi, nella Basilica Superiore, si conclude nel 1294, subito dopo Giotto con la sua bottega è a Rimini. Sappiamo dalle fonti documentarie che dipinse cicli di affreschi in San Francesco, la chiesa destinata a diventare il tempio-mausoleo di Sigismondo Malatesta. Quegli affreschi sono andati perduti ma di Giotto resta, nel duomo di Rimini, la grande croce dipinta, mutila dei suoi finali. Le fonti alle quali si ispira la nascente pittura riminese del Trecento sono dunque queste: gli affreschi perduti in San Francesco e la croce dipinta tuttora custodita in Duomo.