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Pollock Warhol. Milano fa l’americana

Due mostre a Palazzo Reale tracciano un percorso nell’arte statunitense della seconda metà del Novecento

Barnett Newman, The Promise (1949), olio su tela

Barnett Newman, The Promise (1949), olio su tela

​Due mostre a Palazzo Reale, aperte quest’autunno una dopo l’altra, invitano a riflettere sull’arte americana del Novecento. Si è cominciato con quella dedicata a Jackson Pollock e alla Scuola di New York, si continua con una su Andy Warhol e la Pop Art. Iniziamo dalla prima, da quella stagione felice e disperata che ha preso il nome di “New York Renaissance”. È infatti con l’Action Painting (pittura d’azione, come viene anche chiamata l’opera di Pollock, De Kooning e compagni) che l’America firma la sua dichiarazione d’indipendenza dall’arte europea.
 
La pittura di Pollock (1912-1956) guarda ancora alle avanguardie, soprattutto al surrealismo, ma ormai è un’altra cosa. I suoi quadri, improvvisati come il jazz, non sono più dipinti sul cavalletto, ma spruzzando il colore sulla tela posta sul pavimento, un po’ come facevano i pellerossa che decoravano i tessuti stesi sul terreno. Dripping, il nome di questa tecnica, significa appunto “sgocciolare”. Oltre che senza immagini, quella di Pollock è una pittura senza forme, l’equivalente americano dell’informale. Sulla tela rimangono solo il segno e il colore: un colore non tolto dal tubetto, ma formato da un miscuglio di pigmento, sabbia, pietrisco, vetro frantumato, colla, che lo rende più materico...... 
 
di Elena Pontiggia