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Nomachi sulle strade del sacro

Nell’obiettivo del fotografo giapponese la ricerca e la speranza di Dio

​Anche lui viene dai campi e si è fatto straniero, diverso, viandante. Anche lui, come Abramo “forestiero e di passaggio”, ha lasciato la famiglia, la patria, ha tagliato le radici e si è incamminato lungo la via sacra, affrontandone pericoli e insidie. Anche Kazuyoshi Nomachi, uno dei più grandi fotografi giapponesi, ha scelto di seguire le strade della preghiera e diventare pellegrino sui generis, negli angoli più lontani della terra. Da quando aveva venticinque anni a oggi che ne ha sessantasette, da quando un giorno scoprì il Sahara, Nomachi ha tentato l’impossibile: fotografare ciò che non si vede. E non l’anima, come si vantano stupidamente molti ritrattisti anche celebri, ma la ricerca di Dio, la speranza in Dio e nel suo lasciare tracce del cielo e della vita che verrà lungo i sentieri del mondo, quelli più miseri, quelli accarezzati dalla polvere e calpestati dai piedi scalzi degli uomini. Di tutti gli uomini, e di tutti i credo.
 
La mostra “Nomachi. Le vie del sacro” raccoglie infatti una splendida selezione di duecento immagini realizzate dal grande fotografo lungo i pellegrinaggi che idealmente, perché emblema del nostro comune destino, uniscono l’Africa all’India, il Medio Oriente al Tibet, la Mecca all’Himalaya, il Gange alle Ande. Se il pellegrino è colui che per agros, cioè attraverso i campi, raggiunge il luogo sacro, allora anche Nomachi è un pellegrino. I campi sono quelli che circondano il suo villaggio, Mihara, tra le belle montagne del distretto di Hata nel Sud del Giappone. I luoghi sacri da “conquistare” sono a volte spazi aperti, vastissimi, ostili, di fronte ai quali l’uomo di fede s’inchina, si piega, si stende a terra. E non è un caso se Kazuyoshi, lui che viene da un paesino di mille e ottocento abitanti famoso per la produzione dell’inchiostro più ricercato dai calligrafi, abbia scelto come prima tappa del suo personale e articolatissimo pellegrinaggio il luogo che assomiglia a una pagina bianca. Una pagina crudele che rivela la vacuità del gesto di chiunque voglia lasciare un segno, lettera o ideogramma. Ed è il Sahara, il nulla che danza......
 
di Laura Leonelli