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Noi uomini poeti del Creato

Contemplare la natura può essere preghiera, ma è necessario ritrovare lo stupore perduto, il senso di meraviglia ucciso dalla civiltà tecnologica

​Leonardo Sapienza

Dobbiamo confessare con realismo che troppo spesso siamo così ripiegati sulle realtà quotidiane, da non avere più gli occhi della mente capaci di guardare in alto. Ci imprigioniamo nell’abitudine di atti piccoli e modesti, da diventare incapaci di cose grandi. Rischiamo di avere un cuore non abbastanza dilatato sulle dimensioni del mondo. Siamo così assorbiti dalle cose materiali, da perdere ogni sapore per la bellezza e la spiritualità. Siamo così storditi dal chiasso e dal traffico, da non sapere più riconoscere la voce della coscienza che risuona nel silenzio. Abbiamo orecchi colmi di rumori e di chiacchiere, il palato rovinato da banalità insipide, gli occhi sporcati da immagini brutte e volgari; e allora le grandi parole e le visioni sublimi le releghiamo in un futuro lontano. Eppure quella verità e quella bellezza ci sono necessarie come il pane. Abbiamo quasi perso l’organo stesso della “meraviglia”, la capacità di stupirci davanti alle cose piccole e grandi che scorrono in ogni istante davanti a noi come su uno schermo. La tecnologia moderna teme la sorpresa, vuole tutto programmare, incapsulare, schematizzare, prevedere. È così difficile per noi oggi non solo riuscire a “vedere” i tanti piccoli segni di vita nella natura che ci circonda, ma anche sostare in silenzio per intuire e captare l’eterno movimento della vita. È per questo che la riflessione, la contemplazione, la preghiera e la lode si spengono. Invece la preghiera dà la possibilità di non vivere terra terra, di far saltare la scorza della realtà per trasfigurarla; di intuire l’aspetto profondo degli esseri e delle cose, la loro ultima bellezza. Diceva Paolo VI: «La natura è libro di Dio. È un libro aperto, stupendo, misterioso. Saperlo leggere è preghiera» (10 luglio 1977). E il filosofo Ludwig Wittgenstein aggiungeva: «Pregare significa sentire che il senso del mondo è fuori del mondo».
La natura è come una pergamena dispiegata tra cielo e terra, sulla quale Dio scrive un suo messaggio, e l’umanità può rispondere con la sua lode. Purtroppo la nostra vita si sta appannando, non siamo più capaci di leggere il mondo, né tanto meno di scrivervi qualcosa di bello. E, così, crediamo che Dio sia muto o assente. Ma il Salmo 18 ci ricorda: «I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento…». Così scriveva Antoine de Saint-Exupéry nella sua ultima lettera: «Ogni lirismo suona ridicolo, e gli uomini rifiutano di lasciarsi ridestare a una vita spirituale qualsiasi. [...] c’è un solo problema, uno solo per il mondo: ridare agli uomini un significato spirituale, inquietudini spirituali. [...] Non si può vivere di frigoriferi, di politica, di bilanci e di parole incrociate, mi creda. Non più. Non si può vivere senza poesia, senza calore né amore!». Il grande scrittore russo Fëdor Dostoevskij ammoniva che «l’umanità per vivere non ha bisogno né di scienza, né di pane, ma soltanto la bellezza è indispensabile, perché senza la bellezza non ci sarà più niente da fare in questo mondo».
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