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Mario Botta, dare forma all’infinito

Radicato nel suo Ticino, ma aperto al mondo, è tra i pochi architetti viventi ad aver progettato una cattedrale. E poi diciassette chiese, una sinagoga in Israele e una moschea in Cina

di Giovanni Gazzaneo

​Mario Botta, architetto svizzero (Mendrisio, 1943), non conosce confini: ha progettato di tutto – case, biblioteche, musei, scuole, banche, alberghi… –, e in tutto il mondo. La sua prima committenza, nel 1963, quando aveva vent’anni, è stata in qualche modo profetica: una casa parrocchiale. Da allora ha realizzato diciassette chiese, una cappella, una cattedrale. E altre chiese sta progettando. Ha disegnato spazi sacri per tutte e tre le religioni abramitiche: sua la sinagoga Cymbalista nel campus universitario di Tel Aviv e la moschea, in costruzione, a Yinchuan, in Cina. Le architetture di Mario Botta hanno una potenza simbolica che nasce dall’impronta del suo progettare: sono radicalmente espressione dell’umano nella sua integralità, corpo e anima, anima e corpo. Gli spazi che crea, i materiali che utilizza, la purezza delle forme, il rigore dei tagli di luce, il dialogo tra il costruito e il paesaggio, tutto parla il linguaggio dell’uomo: un linguaggio accogliente come un abbraccio, semplice anche quando è grandioso, familiare come una madre, un padre, un fratello. La funzione dell’edificio non è mai scissa dalla dimensione spirituale della vita, la nostra vita e la vita di chi verrà dopo di noi.