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Margaret Bourke-White, l'obiettivo è la vita

Una mostra a Milano rende omaggio alla grande fotografa americana di “Life”

​Alessandro Beltrami
La fotografia è forse la tecnica in cui il talento femminile ha potuto affrancarsi e manifestarsi più precocemente. Per quanto proporzionalmente inferiore agli uomini, il numero di fotografe (in particolare nel mondo anglosassone) nella fase pionieristica e in quella del boom nella prima metà del Novecento è significativo e il loro contributo particolarmente importante: si pensi, per quanto riguarda i decenni tra le due guerre, a Imogen Cunningham, Tina Modotti, Dorothea Lange, Berenice Abbott, Gerda Taro… Questo forse anche perché la fotografia non era generalmente considerata un’arte ma una tecnica di documentazione e di racconto della realtà e soprattutto un “mestiere”, anzi il mestiere ideale in società dai caratteri ormai pienamente moderni con una dimensione urbana, industriale e massmediatica particolarmente sviluppata.
A quel gruppo di fotografe e a quel contesto appartiene anche Margaret Bourke-White. La sua storia esemplare potrebbe uscire da un romanzo di Dos Passos. Margaret nasce nel 1904 a New York in una famiglia borghese. Il padre è un inventore e trasmette alla figlia la passione per le macchine e per il confronto aperto con la tecnologia. Studia con il fotografo pittorialista Clarence H. White, già amico e collaboratore di Alfred Stieglitz e fondatore della prima scuola in America a insegnare la fotografia come forma d’arte. Dopo alterne vicende e un precoce sfortunato matrimonio si iscrive, ancora poco più che ventenne, alla Cornell University, dove capisce che realizzare e duplicare scorci fotografici del campus può essere un’attività non solo creativa ma anche redditizia. Compie quindi il salto nella professione. Apre a Cleveland uno studio fotografico e si costruisce una strada nel mercato della fotografia industriale e pubblicitaria.
Alla Bourke-White il coraggio non manca. Acquista fama per le sue immagini spettacolari di altiforni riprese da punti di vista decisamente temerari. Una immagine celebre la vede appollaiata su un gargoyle dèco del Chrysler Building a quasi trecento metri di altezza sopra Manhattan. Al 61° piano del più bel grattacielo di NewYork, trionfo dell’era dell’elettricità e della macchina, Margaret ha ormai il suo studio. Nel 1929 l’editore Henry Luce l’aveva invitata a far parte della nascente rivista “Fortune” e quindi dal 1936 della completamente rinnovata “Life”: pubblicazioni rivoluzionarie in cui la fotografia ha un ruolo da protagonista.
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