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L’arte e la fantasia sotto un chiaro di luna

Dal Doganiere Rousseau a Klee a Chagall in una mostra a Milano

​Elena Pontiggia
«Nato a Laval nel 1844, dovette presto, viste le grame fortune della famiglia, seguire una carriera diversa da quella artistica a cui era portato. Solo nel 1885, dopo tante delusioni, potè entrare nel mondo dell’arte, da solo, avendo per maestri appena la natura e qualche consiglio dei pittori Gèrôme e Clèment. Nel 1886 dipinge una Sera di Carnevale». Così, in una nota autobiografica, Henri Rousseau (ribattezzato “il Doganiere” per un equivoco, perché in realtà lavorava al dazio, non alla dogana) citava fra i primi suoi quadri la Sera di Carnevale, oggi esposto alla mostra “Impressionismo e Avanguardie”, a Palazzo Reale a Milano. Aveva presentato per la prima volta il dipinto al Salon des Indèpendants del 1886, la stessa mostra dove Seurat si era fatto conoscere con Una domenica pomeriggio alla Grande-Jatte, manifesto del neoimpressionismo. In quell’occasione Rousseau, che era sempre deriso per i suoi errori di anatomia e prospettiva («Raccomandiamo i suoi quadri a chi ha voglia di stare allegro», aveva scritto tempo prima il critico di “L’Evènement”), era stato apprezzato da Pissarro per «il candore del disegno, la qualità della pittura, la giustezza dei valori e la ricchezza dei toni». Una lode pronunciata da un maestro di cui tutti conoscevano la severità.  Pissarro aveva ragione perché quell’opera, che rappresentava una passeggiata serale di Pierrot e Colombina nel bosco, era un capolavoro. Il Doganiere è considerato il padre dei “naïf” ma, se l’avesse saputo, non avrebbe voluto esserlo. Gli artisti che ammirava erano Paolo Uccello, il Beato Angelico, Bruegel (a cui si riallacciano gli alberi della Sera di Carnevale) e, tra i moderni, i pittori pompier detestati dalle avanguardie. Molti ammiratori l’hanno elevato a emblema dell’istintività incolta quando lui invece venerava la scuola, i “Prix de Rome”, la cultura artistica e la cultura senza aggettivi. Della pittura dei pompier, per fortuna, non ha imitato la letterarietà e la retorica. Ne ha colto però un insegnamento decisivo: la precisione della linea e del disegno, una caratteristica che fa della Sera di Carnevale un’opera incantata e incantevole.  Due decenni dopo l’impressionismo, che limitava la pittura a quello che l’occhio vede, Rousseau ci ricorda che non esiste solo il visibile ma anche l’invisibile. Pierrot e Colombina non sono mai esistiti, ma esisteranno sempre. Passeggiano nel bosco di sera senza temere freddo e buio perché sanno che la fantasia è più vasta della realtà. Certo, le due maschere sono una coppia di innamorati travestiti per l’occasione, ma il Doganiere gioca sull’equivoco e ce li mostra come se fossero i due protagonisti della Commedia dell’arte, usciti dal teatro ed entrati nella vita.