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Leonardo pittura come poesia

Contro la feticizzazione del genio e della sua opera occorre recuperare la capacità di vedere e leggere l’arte di Leonardo: solo questa è vera educazione

​Antonio Natali


È arduo trovare chi non sappia – specie a questa data inoltrata dell’anno – che nel 2019 cade il quinto centenario della morte di Leonardo. Già qualcosa, in anticipo sulla ricorrenza, s’è potuto vedere; ma è nulla in confronto al turbinio d’accadimenti che nei mesi a venire saranno ordinati ovunque (in Italia e all’estero) per celebrare l’anniversario. Qui da noi, le amministrazioni pubbliche non vorranno rischiare di restar fuori dalle commemorazioni; è, anzi, da presumere che ambiranno a esserne partecipi anche quelle che governano territori con cui il maestro ha avuto poco o nulla a che fare.
Se il clima culturale in Italia non fosse depresso, ci sarebbe ragione di godere d’un fervore così acceso, giacché Leonardo è davvero un uomo che merita una conoscenza approfondita e diffusa, segnatamente da parte delle generazioni giovani, alla cui formazione convengono modelli del passato recente e remoto capaci di suscitare e favorire interessi incomparabilmente più alti di quelli che passa il presente. Non è però necessario essere profeti per indovinare che, nei tempi attuali, a prevalere saranno invece il feticismo e il conformistico adeguarsi a quanto promuova un’industria culturale sempre più rozza.
D’altronde in una stagione in cui nelle scuole il peso e le ore dell’insegnamento della storia dell’arte seguitano a declinare (anche negli istituti che su quella disciplina in vario grado vertono), e in cui la gente s’affolla nei luoghi dove, per indurre allo sbalordimento, si proiettano – su pareti e soffitti – gigantesche e fantasmagoriche repliche virtuali delle opere più note di pochi celebratissimi artisti, è arduo sperare che si riesca a celebrare la ricorrenza vinciana come meriterebbero la mente e il cuore di Leonardo; ma come soprattutto meriterebbe l’educazione dei giovani, che dovrebbero essere aiutati nella crescita d’una coscienza storica matura. Salvo qualche caso raro, si assisterà invece – questo almeno è il mio timore – alla consueta enfasi di mitologie abusate: dall’amplificazione d’invenzioni scientifiche (non sempre peraltro di comprovata matrice vinciana) all’esaltazione di dipinti già ora venerati come una volta capitava solo alle reliquie più sacre. E il pensiero subito corre alla Gioconda, che del feticismo nell’arte figurativa è assurta perfino a icona. Il ritratto di Lisa è un testo poetico e al contempo un feticcio. È l’approccio del riguardante che ne condiziona la sostanza. E però il riguardante è a sua volta condizionato da quanto la scuola, gli strumenti della comunicazione, la società insomma, gli abbiano trasmesso. Di sicuro non giova alla disposizione di lui l’allestimento che il Louvre ha progettato per esporre l’effigie dipinta da Leonardo; giacché tirar su in un ambiente grandioso un tramezzo monumentale, come fosse il fronte d’un tempio assirobabilonese, per collocarvi al centro, solitaria, la piccola Gioconda, mentre sulle pareti alte della sala sono esibiti a quadreria decine di capi d’opera, vuol dire far passare il concetto che il quadro importante, l’unico anzi di riguardo, è appunto la Gioconda e che tutti gli altri sono parte d’un arredo di contorno.
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