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Le eredità di Karol Wojtyla

Nel ricco lascito del pontificato di Giovanni Paolo II la forza storica del cristianesimo e la relazione tra umanità e grazia appaiono tra i punti più fecondi e necessari

​Pierangelo Sequeri


Il primo tratto del pontificato di Karol Wojtyla che, secondo il mio parere, merita più generosa ermeneutica e più creativa elaborazione riguarda precisamente la sua straordinaria determinazione a riabilitare il cristianesimo come forza storica – non semplice forma religiosa – che imprime un nuovo corso ai ritmi epocali dell’idea umanistica. Il pensiero e il magistero di papa Wojtyla hanno impresso alla riconciliazione della visione cristiana con i destini dell’umanesimo (e più radicalmente la destinazione dell’uomo) i tratti di un imperativo epocale per la coscienza credente e la comunità ecclesiale in quanto tale. Senza presunzione di sorta, ma anche senza soggezione alcuna. L’enciclica inaugurale del pontificato è già del tutto esplicita nei confronti di questo progetto di abitare la nuova epoca attivando una missione evangelica radicalmente focalizzata sulla liberazione dell’assoggettamento umano al paradossale dominio degli strumenti materiali che l’ingegno umano medesimo produce. Una concezione materialistica della vita come quella che si va ideologicamente affermando quale cifra dell’epoca – va detto francamente, infine, ed è merito di papa Wojtyla averlo puntualizzato senza reticenze – «condanna l’uomo a tale schiavitù, pur se talvolta, indubbiamente, ciò avvenga contro le intenzioni e le premesse stesse dei suoi pionieri» (Redemptor hominis, 16). «Se osiamo definire la situazione dell’uomo nel mondo contemporaneo come lontana dalle esigenze oggettive dell’ordine morale – prosegue Giovanni Paolo II –, lontana dalle esigenze della giustizia e, ancor più, dall’amore sociale, è perché ciò viene confermato dai ben noti fatti e dai raffronti, che più volte hanno già avuto diretta risonanza sulle pagine delle enunciazioni pontificie, conciliari, sinodali» (ibidem). In effetti, già nelle pagine di esordio dell’enciclica si fa riferimento al tema di una “eredità” che papa Wojtyla dichiara di essere determinato a onorare: la «singolare eredità» di Giovanni XXIII e di Paolo VI (RH, 2), e la «ricca eredità» di questi straordinari pontificati, che «si è fortemente radicata nella coscienza della Chiesa in modo del tutto nuovo, non mai prima conosciuto, grazie al Concilio Vaticano II» (RH, 3).
Giovanni Paolo II parla a sua volta di una eredità che ha guadagnato la coscienza cattolica della Chiesa e messo a dimora il seme evangelico in un modo «tutto nuovo» e «non mai» conosciuto prima d’ora. Espressioni di grande forza, che fanno impallidire di imbarazzo le retoriche di basso profilo in cui si impigliano volentieri le dispute ecclesiastiche recenti sull’eredità conciliare. In sintesi, questa novità epocale che deve plasmare la continuità evangelica della testimonianza ecclesiale, va decifrata lungo una duplice direttrice.
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