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Le Beatitudini la Magna Charta del Cristianesimo

Per Agostino le Beatitudini sono al centro dell’Annuncio. Un testo rivoluzionario nel suo essere solenne e paradossale

​Gianfranco Ravasi

«È la Magna Charta del cristianesimo: chi non lo conosce non può sapere cosa sia essere cristiano». Così lo scrittore François Mauriac nella sua Vita di Gesù definiva, con una punta di enfasi, il “Discorso della montagna”, offerto dai capitoli 5-7 del Vangelo di Matteo. Molti hanno nella loro memoria le immagini sobrie ma incisive del film Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, apparso sugli schermi nel 1964. Forse ricordano anche l’asciutta ed essenziale proclamazione delle Beatitudini e di brani del Discorso della montagna da parte di un Gesù severo eppur emozionante.
La tradizione successiva cercherà di identificare quel monte in un delizioso poggio che s’affaccia sul lago di Tiberiade, scenario del primo ministero pubblico di Gesù in Galilea. Lassù ora si erge un santuario detto appunto “delle Beatitudini”. Tuttavia è più probabile ritenere che quel monte sia frutto di una scelta simbolica dell’evangelista Matteo, per cui esso non contrasterebbe con la notazione topografica più storica del racconto parallelo di Luca che introduce, invece, una parte sostanziale di quel discorso in un luogo pianeggiante (6,17). In quel monte ideale, facile evocazione di un’altra vetta fondamentale nella Bibbia, quella del Sinai, culla di Israele come popolo dell’alleanza con Dio e sede della rivelazione della parola divina, Matteo convoglia materiali differenti, pronunziati da Gesù in contesti diversi, ordinandoli, secondo un impianto strutturale vario e complesso, in un unico discorso. Noi ora cercheremo di approfondire in modo sintetico ed essenziale la pagina di apertura, ossia le Beatitudini, che offrono un vero e proprio codice della vita cristiana e della felicità paradossale a cui essa conduce.
Cristo è rappresentato dall’evangelista nella postura di un maestro assiso in cattedra, un atteggiamento che sollecita una domanda: qual è la figura di Cristo che Matteo sta ora dipingendo, mentre lo colloca sul nuovo Sinai? Si confrontano due soluzioni entrambe suggestive. La prima è quella più comune: Gesù è il “nuovo Mosè”. Con una curiosa e un po’ maccheronica espressione latina, Lutero parlava di Gesù come di un Mosissimus Moses, un Mosè all’ennesima potenza, che non è «venuto ad abolire la Legge o i Profeti ma per condurli alla loro pienezza» (Matteo 5,17).
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