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Land Art, scolpire l’ambiente

​di Alessandro Beltrami

Ci sono artisti che rappresentano il paesaggio e altri invece che fanno del paesaggio la materia stessa dell’arte. Tutto comincia negli anni Sessanta, quando una serie di artisti inizia a lavorare sia operando direttamente con e sull’ambiente, sia inserendovi elementi artificiali in rapporto con le caratteristiche morfologiche. È la land art. Il movimento nasce negli Stati Uniti, e non è un caso. Fin dall’Ottocento la cultura americana aveva cercato un’autonomia da quella europea, in particolare attraverso il trascendentalismo del filosofo Ralph Waldo Emerson e dello scrittore Henry David Thoreau, i quali esaltano l’individuo nel rapporto con la natura. La cultura americana fin dall’inizio, dunque, si muove dialetticamente tra l’impatto con la wilderness dell’immenso continente e la dimensione tecnologica di una prorompente urbanizzazione.
Per la generazione di artisti che si affaccia alla ribalta dopo la Seconda guerra mondiale in pieno boom della società dei consumi, questo aspetto si somma alla contestazione del sistema dell’arte. La natura è troppo grande per rientrare nelle categorie del mercato e così canyon, laghi, praterie, deserti diventano luogo di creazione di interventi giganteschi, al di fuori del tradizionale circuito artistico, tanto istituzionale (musei) quanto commerciale (gallerie). Molte di queste opere, infatti, sono transitorie e sono destinate a sparire a causa dell’azione degli agenti atmosferici e dello scorrere del tempo: così la monumentalità di questi interventi si oppone a una delle ragioni storicamente costitutive dell’arte, ossia perdurare – come memoria e come bene – fino a un punto quanto più possibile prossimo all’eternità. […]