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La storia infinita di Parma, Atene d'Italia

Dal suo anno zero a oggi, una cavalcata nei molti secoli di Parma, spesso segnati da una cultura di buon governo

​Franco Cardini


Nel linguaggio giuridico romano, una colonia era un agglomerato di un certo numero di cittadini che per legge – mediante l’istituto della deductio – venivano “distaccati” dall’Urbe su un territorio nel quale si stimava opportuno insediare persone di provata e sicura fedeltà, a ciascuna delle quali veniva assegnato un appezzamento di terra da coltivare (in latino colere: da cui appunto il termine colonia). Verso la fine del III secolo a.C. i Romani avevano cominciato a sottomettere al loro controllo i territori insediati dai Galli Sènoni, tra Marche e Romagna attuali; ma la loro marcia verso il nord e il nord-ovest della penisola italica procedette a rilento a causa della resistenza opposta dai Galli Boi. Onde facilitare e consolidare le comunicazioni lungo le nuove aree acquisite, nel 187 a.C. il console Marco Emilio Lepido avviò la costruzione di una via, la Via Emilia appunto, destinata a collegare la città di Ariminum (Rimini) con Bononia (Bologna) e Placentia (Piacenza), e che come tutta la regione circostante assunse la denominazione derivata dal suo nomen. A presidio della tratta fra la seconda e la terza delle città ora ricordate vennero fondate nel 183 le due coloniae di Parma (Parma) e Mutina (Modena). I coloni, pur costituendo una comunità autonoma, mantenevano intatte le prerogative di cives romani. Le due colonie si venivano a trovare entro un territorio suddiviso in quadrati regolari di 710 metri di lato, le cosiddette centuriae.
A popolare il nuovo centro demico di Parma furono destinati duemila coloni, ciascuno a capo della propria familia: a ognuno di loro fu attribuito un lotto di terra coltivabile assegnato a sorteggio. La forma scelta per l’insediamento fu quella militare ordinaria del castrum, un quadrato di circa 400 metri di lato che aveva il suo cardo maximus sulla linea tra le odierne strada Farini e strada Cavour e usava come decumanus maximus il tratto urbano della Via Emilia. Le emergenze archeologiche hanno mostrato che il territorio della nuova colonia non era del tutto vergine: nuclei insediativi liguri e celti erano presenti su tutta l’area aquitrinosa della riva destra del Po.
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