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La febbre del Rinascimento

Sulla stagione dei trionfi si abbatte il Sacco di Roma del 1527 . Ma le antenne degli artisti avevano captato i segnali della crisi ben prima

​Timothy Verdon


Gli sconvolgimenti politici e sociali che trasformarono l’Italia nell’arco di pochi decenni, tra la fine del ’400 e il Sacco di Roma nel 1527, trovarono espressione nell’arte dei primi manieristi: maestri quali Jacopo Pontormo, Rosso Fiorentino e Domenico Beccafumi. Lo smarrimento dei loro personaggi – i volti angosciati, gli occhi svuotati di speranza – parla del trauma creato dalla brutale invasione di eserciti stranieri nella penisola, che umiliarono antiche realtà politiche quali il Ducato di Milano, la Repubblica Fiorentina e il Regno di Napoli; parla anche dei tumulti causati dalla riforma luterana, destinata a spaccare l’Europa. Così a partire dal 1513, anno della morte di papa Giulio II, l’ottimismo del secolo precedente s’andò spegnendo, e alla fiducia umanistica di poter dare ordine al mondo si sostituì un senso dell’assurdo quasi moderno nel suo latente pessimismo.
Tra i segni premonitori, nella stessa culla del Rinascimento, Firenze, c’era stata la stagione del Savonarola, la cui visione apocalittica giunse al culmine durante la calata in Italia di Carlo VIII di Francia. Morto poi il frate domenicano – arso sul rogo nel 1498 –, un suo seguace, Sandro Botticelli, in una iscrizione in greco sopra la febbricitante Natività mistica, dipinta nel 1500-1501, paragonò i “torbidi” della seconda invasione francese, quella di Luigi XII, al secondo dolore dell’Apocalisse, citando il nono capitolo del libro neotestamentario. Questi torbidi misero fine a grandi progetti artistici: a Milano le truppe di Luigi XII si divertirono a distruggere l’enorme modello in creta realizzato da Leonardo per una statua equestre di Francesco Sforza. Tra i segni più leggibili vi furono poi gli affreschi di Luca Signorelli per il Duomo di Orvieto, in cui il tema apocalittico si sviluppa come un colossal hollywoodiano. In particolare, La predicazione dell’Anticristo, commissionata ad appena un anno dalla morte di Savonarola, sembra alludere all’accusa d’eresia rivolta al frate. Ma forse allude anche agli scandali della Roma di Alessandro VI: le figure concitate a destra e sinistra dell’Anticristo e il grande tempio sullo sfondo derivano dall’affresco di Perugino La consegna delle chiavi a san Pietro, del 1481, per la Cappella Sistina (dove aveva lavorato anche Signorelli). Ma al posto dell’ordine sereno del tempo di Sisto IV, qui, in pieno papato Borgia, vediamo un mondo sull’orlo del baratro e una Chiesa affascinata dal delegato di Satana. Era la fine di un’epoca, ma il nipote di Sisto IV, eletto papa nel 1503 col nome di Giulio II, non lo sapeva: e così radunò a Roma Bramante, Michelangelo, Leonardo e Raffaello, dando vita alla straordinaria stagione dell’Alto Rinascimento. Tuttavia, lo stesso Giulio II sostenne, con l’Impero e la Francia, la Lega di Cambrai, mirante a spartire i territori della Serenissima in Italia, e così contribuì a riempire di nuovo la penisola di soldatesche straniere. Non a caso gli affreschi di Raffaello nella Stanza di Eliodoro, del 1512-1514, sono affollati di personaggi in armatura, come pure, pochi anni dopo, le pitture del Pordenone per il duomo di Cremona e le scenografie di Gaudenzio Ferrari a Varallo.
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