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La Dama, la Donna e la Madre

L’itinerario dantesco, sovvertimento delle convenzioni correnti, illumina l’idea dell’amore. Spetta a noi completarlo

​Pierangelo Sequeri

Esiste un dipinto del compianto Jean-Marie Pirot (1926-2018), noto con il nome d’arte di Arcabas, che porta come titolo Il Sole nel Ventre (1984). La tela rappresenta una visione tenerissima e trasfigurata della gravidanza della figlia e appartiene alla collezione privata della famiglia: Arcabas non ha mai voluto separarsene. Il dipinto è una delle cose più incantevoli che conservo, con intatta commozione sin dalla prima volta, nella memoria delle mie icone di riferimento. La figura dolcemente stilizzata della donna incinta, morbidamente impressa nei diversi toni dell’azzurro del cielo, fra le colombe dello spirito, si accende nel caldo sole del ventre sorretto e accarezzato con amore. E si rapprende, diventando terra nella parte inferiore della figura, dove le gambe fanno da stelo al fiore caldo del grembo.
Metafora dell’Incarnazione: dove il cielo si fa terra, senza perdersi. E dove la terra rimanda a una sorgente della vita che può solo ricevere e trasmettere, non creare. Incanto della Donna, depositaria di una finezza dell’amore terreno medesimo, che l’uomo non può possedere né consumare, ma solo apprendere.
Guarda la figura – così seducente, così materna – e leggi Dante: «Nel ventre tuo si raccese l’amore / per lo cui caldo nell’etterna pace / così è germinato questo fiore» (Par XXXIII, 7-9). Sintesi folgorante, esegesi perfetta. Potresti dire che la nudità del seno è profana e quella del grembo è sacra, stabilendo un’opposizione che evoca l’ombra di una differenza del peccato e della grazia? Non potresti proprio. La fanciulla-madre è qui, nella sua interezza, misterioso e incantato legame di cielo e terra, di intatto candore e di carnale trasformazione. La figura della Vergine Madre è così adatta a questa trasfigurazione poetica, che nei suoi usi correnti l’immagine di Arcabas è assunta, senza necessità di spiegazioni, come icona mariana. Il suo riverbero “cosmologico”, ossia il fatto di essere iconograficamente centrata sull’Incarnazione come tema della “nuzialità” del cielo e della terra, dove la Donna dona vita all’Eterno dal quale la riceve («Vergine Madre, figlia del tuo figlio», Par XXXIII, 1), estende l’immagine sull’intero orizzonte della storia e sulla verticale della sua destinazione. Il libro neotestamentario dell’Apocalisse conosce l’immagine della Donna “vestita di sole” (Ap 12, 1). La Donna ha un prezioso diadema di stelle e deve partorire: ma qui le doglie sono incominciate e la nascita è minacciata dal Drago. Nel quadro di Arcabas, come nel canto di Dante, il dramma è dietro le quinte: siamo all’inizio e alla fine della nuova creazione. «Le cose di prima sono passate» (Ap 21, 4). Rimane ormai solo l’incanto eterno della Donna attraverso la quale passa l’Amore, quell’Amore che assegna alla vita nel tempo una destinazione nel grembo di Dio. Lo sguardo è rapito dalla portata definitiva di questo passaggio: antropologica e teologica, cosmologica ed escatologica. Lo stesso Amore, che «move il sole e l’altre stelle», è passato e passa per questa porta: «umile e alta più che creatura». Di qui ognuno può passare, se vuole che «sua disianza» non diventi un volo «sanz’ali».
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