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James Nachtwey. Dentro la realtà

Il fotografo americano racconta il dolore,la morte e l’irriducibile dignità dell’uomo

​​​​È dura guardare dritta in faccia la realtà. Sì, può fare paura. Arti amputati, uomini ridotti a scheletri che camminano, bambini che urlano nel silenzio di sguardi vuoti, la normalità di cadaveri sparsi per strada. È la guerra, è oggi, è vicino a noi. Nelle sue immagini James Nachtwey non nasconde nulla, non ci risparmia nulla. E per questo tiene al centro la cosa più importante: «Sono stato un testimone. Ho dato conto della condizione delle donne e degli uomini che hanno perso tutto, le loro case, le loro famiglie, le loro braccia e le loro gambe, la loro ragione. E, al di là e nonostante tutte queste sofferenze, ciascun sopravvissuto possiede ancora l’irriducibile dignità che è propria di ogni essere umano. Le mie fotografie sono la mia testimonianza».
Nachtwey è nato nel 1948 a Syracuse, nello Stato di New York. In molti lo definiscono l’erede di Robert Capa, e del grande fotoreporter ha la capacità di condensare un’intera storia in un’immagine memorabile, incandescente, esatta. E quella di essere esattamente dove le cose accadono. Balcani e Cecenia; l’incubo della Romania post Ceau?escu; il Ruanda del genocidio e il Sudafrica di Mandela; i fronti di Iraq e Afghanistan; i migranti in Grecia. È ai piedi delle Torri Gemelle l’11 settembre 2001. «Ho voluto diventare un fotografo per essere un fotografo di guerra – ha raccontato –. Ma ero guidato dalla convinzione che una fotografia che riveli il volto vero della guerra sia quasi per definizione una fotografia contro la guerra».
Tra le rovine di Kabul si aggirano fantasmi in burka. In Africa e Asia padri e madri piangono figli avvolti in sudari. Medici in divisa soccorrono bambini feriti. Ma ci sono anche tante croci in queste foto, esposte a Milano nella più grande retrospettiva mai concepita sul suo lavoro. Rosari tra le mani delle donne di Haiti, crocifissi smembrati illuminano le chiese dei Balcani, dietro una croce collassa una della Twin Towers. Violenza e speranza sono i nomi dell’uomo.

di Alessandro Beltrami