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Il tramonto degli dei

Non solo parola: il cristianesimo nella tarda antichità e nell’Alto Medioevo si affermò, in particolare in Oriente, anche con l’uso della forza

​Franco Cardini
La fine di quel complesso sistema di convivenza di vari culti mitico-religiosi all’ombra dell’Impero romano – nell’ambito della sua compagine etno-territoriale e sotto l’egida dell’autorità imperiale e delle sue leggi –, che noi definiamo genericamente e impropriamente “paganesimo”, corrispose in realtà a un processo civile e giuridico sfumato, articolato, a tratti faticoso, caratterizzato da fasi d’incertezza e da momenti invece di dura, rigorosa repressione. Il cristianesimo, come religione che per sua natura non ammetteva la coesistenza con sistemi cultuali politeistici, comportò all’interno dello stesso Diritto una vera e propria rivoluzione. Fra 311 e 313, gli editti di Galerio e di Costantino-Licinio avevano reso anche il cristianesimo religio licita, in pratica estendendo anche ai cristiani una deroga già valida nei confronti degli ebrei: che cioè essi potessero legittimamente rifiutarsi – nel contesto dell’ossequio nei confronti della pubblica autorità e delle sue leggi – di far della persona dell’Augusto e della divinità di Roma oggetto di adorazione. Tutto ciò non era andato al di là del consueto quadro di riferimento giuridico secondo il quale tutti i culti che non contrastavano con le leggi dell’Impero erano liberamente ammessi, e l’imperatore ne era considerato, come pontifex maximus, il capo e il garante.
Le cose erano tuttavia radicalmente mutate con l’Editto di Teodosio, che proclamava il cristianesimo unica religio licita dell’Impero: da allora si rovesciava l’equilibrio giuridico precedente e si proclamava che tutti gli altri culti contrastavano con la legge. Ovviamente, ne erano nati da una parte un lungo contenzioso, dall’altra la difficoltà di tradurre in termini pratici la nuova prescrizione giuridica. Casi come quello, ben noto, della contesa tra Ambrogio, vescovo di Milano, e il senatore Simmaco sulla permanenza nell’aula del Senato, a Roma, dell’altare e dell’ara della Vittoria, ponevano il problema della tradizione identitaria dei cittadini della Res publica romana e del rapporto fra essa e l’insorgere di elementi di “discontinuità” dei quali si doveva prendere atto. Inoltre molti culti “pagani” erano dotati di organizzazioni di vario genere (collegia), con annesse proprietà immobiliari e mobiliari e addirittura tesori, sotto forma ad esempio di ex voto. Si trattava quindi non semplicemente di “abbattere” dei templi (o di mutare la destinazione di tali edifici, magari con opportune misure di “acculturazione”) o di distruggere delle statue, ma anche di amministrare compravendite, espropri e passaggi di proprietà.