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Il mondo prima e dopo Giovanni Paolo II

Il senso della storia ha consentito a Giovanni Paolo II di ribaltare destini e attingere alla vitalità delle radici, per un abbraccio dei popoli oltre i muri

​Franco Cardini


Il nuovo secolo, il primo del terzo millennio, è ormai trascorso per un quinto della sua durata. Non è certo molto: ma neppure tanto poco. Cose straordinarie erano accadute alla fine del precedente: basti pensare a quel che per quasi un cinquantennio era sembrato impossibile e impensabile, il crollo dell’Unione Sovietica e con esso la necessità di una ridefinizione dell’assetto egemonico del mondo intero. Ma il “tempo dei prodigi” si era annunziato già da prima, da quella sera dell’ottobre del 1978 in cui l’emiciclo berniniano di piazza San Pietro era stato invaso da quell’accento d’una terra che allora sembrava ancora più lontana di quanto oggi non sia, d’una lingua appartenente al popolo più cattolico dell’“altra Europa”, quella del Patto di Varsavia; e da quella frase che pur suonava umile e allegra al tempo stesso. «Se mi sbaglio, mi corrigerete». A parlare era l’arcivescovo di Cracovia, il cardinale Karol Wojtyla, l’innalzamento del quale al soglio di Pietro infrangeva un tabù durato quattrocentocinquantasei anni: dalla morte di Adriano VI, cioè del fiammingo Adriaan Florisz Boeyens di Utrecht, il pontificato del quale era durato meno di ventun mesi, non c’era più stato un papa che non fosse italiano.
Possiamo anche aggiungere che, da lui in poi, fino a oggi un italiano non è più tornato sulla cattedra di Pietro. Cose ancora più straordinarie sono accadute nel nuovo secolo, drammaticamente annunziato dall’apocalittico attentato dell’11 settembre del 2001 negli Stati Uniti. Un pontefice che straordinariamente aveva contribuito alla caduta dell’impero sovietico e alla fine dell’esperienza “sovversiva” (o “innovatrice”) della teologia della liberazione, e che perciò si era guadagnato l’odio diffuso di tutto il mondo progressista, osava varcare l’oceano per abbracciare l’ateo e comunista Fidel Castro.
Quel polacco robusto e volitivo che aveva fatto l’operaio e aveva militato nella resistenza, che aveva scritto poesie e pièces teatrali, che amava sciare e praticare altri sport e che, nonostante la sua fama di “reazionario”, si era conquistato la simpatia di un fiero laicista quale il presidente Sandro Pertini, si rivelò dotato di una straordinaria forza carismatica. Se di papa Roncalli, patriarca di Venezia e viaggiatore instancabile, si era detto che ben gli si addiceva l’epiteto di Pastor et Nauta attribuitogli dalla “Profezia di Malachia”, molto più a ragione il medesimo, misterioso e discusso testo qualifica papa Wojtyla De labore Solis, quasi a indicarne la centralità nel mondo e nella storia, ma anche l’energia infaticabile e la forza davvero “solare”.
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