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Istria, crocevia di culture

Nel corso dei secoli italiani e slavi avevano dato vita a una convivenza originale e creativa, che solo i nazionalismi nati altrove hanno potuto offuscare. Ma non sradicare, come insegnano le pagine di Fulvio Tomizza

il molo del porto di Rovigno (Tullio Valente)

il molo del porto di Rovigno (Tullio Valente)

​Aveva trentaquattro anni Graziadio Isaia Ascoli, già noto per i suoi studi linguistici, quando nella natia Gorizia propose la tripartizione delle Venezie che avrebbe avuto larga circolazione successiva. In quel 1863 Venezia Tridentina, Venezia Euganea e Venezia Giulia erano ancora sotto il dominio dell’Impero austriaco, ma il sostrato etnico italiano aspirava a congiungersi al resto del Regno, nato da solo due anni, dove l’idioma di Dante era suggello di un’appartenenza condivisa. Il suo pensiero avrebbe ispirato anche l’ideale federalista di Carlo Cattaneo. Ma il demone del fanatismo nazionalista avrebbe insidiato queste speranze e in meno di un secolo avrebbe generato mostri sanguinari.
Le terre orientali d’Italia pagarono un prezzo enorme in vite umane, con due guerre mondiali, con una guerra civile che ebbe nome Porzûs, con gli infoibamenti e infine con l’esilio forzato dal delirio con la stella rossa, che vide tercentomila cittadini italiani – ma anche croati e sloveni – abbandonare le province di Zara, Fiume e Pola, per sfuggire allo schiacciamento della coscienza nazionale. Ora la Venezia Giulia esiste solo nelle vecchie carte geografiche e nella memoria dolorosa di chi dovette abbandonarla, anche se una piccola parte ne perpetua il ricordo, con le province di Trieste e Gorizia. La sua porzione più cospicua – l’Istria, le città e le isole del Quarnaro, Zara romana e veneta – sono oltre i confini che le perversità della storia hanno tracciato, in un bilancio perdente per chi se n’è andato e per chi è rimasto. Mentre i popoli di quelle terre, vissuti per secoli nella pacifica convivenza, patiscono ancora della catastrofe etnica che li ha colpiti......
di Ulderico Bernardi