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Giovanni Battista Moroni, il principe del ritratto

Alle Gallerie d’Italia di Milano una grande mostra celebra il pittore bergamasco del Cinquecento considerato tra i maggiori ritrattisti di ogni tempo

​Alessandro Beltrami

Esiste un segnale molto preciso nella storia dell’arte - ma forse sarebbe più opportuno adottare un’ottica più vasta come “storia dell’immagine” - che ci dice che abbiamo svoltato epoca e siamo entrati nella modernità. Non è un problema stilistico o tecnico ma è l’affermarsi di un genere che, una volta piantate le tende, non se ne andrà mai più: il ritratto. Certo, i ritratti esistono fin dall’antichità, più o meno realistici, ma sono sempre stati legati di norma a un quadro preciso, funerario o politico. Lentamente a partire dal Trecento e quindi con più forza nel Quattrocento per esplodere nel secolo successivo, si instaura una esigenza nuova che spinge con forza il ritratto a staccarsi da una funzione “di servizio” per diventare un genere dotato di leggi e ragioni autonome. In parallelo a una progressiva valorizzazione dell’individuo e all’emersione di nuove potenze sociali, i ritratti si moltiplicano e non si negano a nessuno.
Il ritratto è dunque il genere della modernità, ma l’opera di alcuni artisti è così forte da portarci a un vero e proprio rispecchiamento, come se nel dipinto di antico ci sia soltanto un costume mentre il volto cancella ogni distanza temporale. È così per Giovan Battista Moroni, «l’unico ritrattista puro che l’Italia abbia mai prodotto» come ebbe a definirlo Bernard Berenson. Per Jacob Burckhardt i suoi ritratti erano espressione di «un’esperienza di vita immensa». Burckhardt e Berenson: è solo tra fine Ottocento e primi del Novecento che la critica riscopre Moroni, e ai nostri occhi non può che apparire sorprendente vista la sequenza di capolavori esposti nella mostra, la più completa mai dedicata al pittore bergamasco (1521-1580), nella sede milanese delle Gallerie d’Italia. Curata da Simone Facchinetti e Arturo Galansino, specialisti dell’artista, si articola in nove capitoli di tipo tematico e solo in parte cronologico: dal magistero di Moretto - ma anche del Lotto, l’altro nume tutelare moronesco, entrambi quasi coprotagonisti della mostra - si passa per l’esperienza a Trento, allora sede del Concilio e unica vera trasferta dell’artista fuori dai confini di Bergamo, e quindi per le diverse tipologie di ritratto (compreso quello devozionale, caratteristico della pratica dell’orazione mentale).
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