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Essere o virtuale

La pandemia ha portato la cultura online: i pro e i contro nel parere dei direttori delle grandi pinacoteche e degli esperti

​Leonardo Servadio

Dal materiale all’immateriale. Dagli spazi delle gallerie con la loro corposa successione di opere esposte, alle immagini reperibili in Internet. Nei mesi della pandemia, seppure chiusi, i musei hanno imparato a farsi sentire e a essere vicini alle persone, forse aprendo così una nuova epoca nei rapporti col loro pubblico: «Hanno dimostrato una vigorosa capacità di resilienza – afferma Irene Baldriga, docente di museologia alla Sapienza – e hanno saputo rispondere con tempestività al diffuso e forte bisogno di cultura». L’offerta digitalizzata infatti ha dato una nuova dimensione alle loro proposte culturali «che si sono dimostrate efficaci non solo nel conservare il patrimonio, ma anche nel proiettarsi nel futuro inserendosi nel dialogo sulle tematiche calde di questi anni: dai problemi del cambiamento climatico a quelli dei diritti umani. Grazie allo spazio informatico, si sono allacciate nuove e più strette vie di dialogo tra istituzioni museali e società. In particolare nelle relazioni con le scuole: in questi mesi molti insegnanti sono ricorsi all’offerta online delle grandi collezioni per arricchire le loro lezioni, e ne sono derivati nuovi stimoli anche per l’attività museale, che si è rivelata tanto più cruciale per la formazione continua della cittadinanza».
Effettivamente non v’è grande museo che non abbia fatto tesoro delle possibilità insite nel mondo della digitalizzazione. Come spiega il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt: «Abbiamo colto l’occasione di questa pausa forzata per riorganizzarci, preparare nuove iniziative, e in particolare migliorare l’offerta online e la nostra presenza nei canali social». Con le chiusure imposte dall’emergenza, sia nel 2020, sia nei primi mesi del 2021, i musei, inagibili alle visite, hanno trasferito gran parte della loro attività nell’impalpabile universo di Internet: là dove si può guardare per quanto non vi sia modo di toccare.
E questo ha consentito al patrimonio culturale di cui sono custodi di aprirsi a una nuova vita. Non v’è infatti altra istituzione che più e meglio del museo sia votata alla comunicazione, cioè al “mettere in comune” e a rendere alla pubblica utilità il ricco e variegato patrimonio di cui in particolare il nostro Paese può andare fiero. Come indica l’Icom (International council of museums), il museo è al servizio della società e, raccogliendo «testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente [...] le conserva, e le comunica e le espone per scopi di studio, educazione e diletto». Si tratta di una missione oggi ben riconosciuta in tutto il mondo, ma che in Italia viene svolta almeno sin dal 1734, anno nel quale papa Clemente XII aprì al popolo i Musei Capitolini così che non fossero solo pochi eletti a godere le meraviglie artistiche, storiche e contemporanee, raccolte nelle collezioni vaticane.
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