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Di nuovo generati la trama della Pasqua

Il vocabolario del cristianesimo è cosparso di termini con il suffisso “ri”: a partire da “risurrezione”

​Ermes Ronchi


“Come può l’uomo rinascere?” (Gv 3,4) La domanda di Nicodemo racchiude il desiderio e il dolore dei viventi e si apre sull’offerta spiazzante di Gesù: «Dovete rinascere dall’alto» (Gv 3,7). Dove l’uomo dice “perduto”, Dio dice “trovato”; dove l’uomo dice “morto”, Dio dice “tornato in vita”; dove l’uomo dice “finito”, Dio dice “nuovo inizio”... (Dietrich Bonhoeffer).
La sillaba che schiude il verbo “rinascere”, il prefisso “ri”, due sole lettere che significano di nuovo, ancora, daccapo, un’altra volta, senza stancarsi, mi affascina come una fessura aperta sull’intimo di Dio. Due sole lettere scelte a comporre le parole più tipiche del cristianesimo, a scrivere i termini più propri del vocabolario cristiano: ri-conciliazione, ri-surrezione, ri-nascita, rinnovamento, ri-generazione, ri-metti i peccati, giungendo fino alle parole re-denzione (comprare di nuovo) e re-ligione (legare di nuovo insieme i tanti fogli sparsi della vita).
Questa piccola sillaba ri racconta non di noi, ma della inflessibile misericordia, l’irremovibile fedeltà di Dio.
Gesù lungo tutto il Vangelo mostra che ricominciare è possibile dopo la malattia, la colpa, il fallimento, perfino dopo la morte; che nessuno è perduto per sempre. Con lui «si va di inizio in inizio, attraverso inizi sempre nuovi» (san Basilio). Con lui vivere è l’infinita pazienza di ricominciare, non giorni riciclati, fotocopie sbiadite, ma giorni rinati dall’alto. La spiritualità del Vangelo non è conservativa (ripristinare la vita di prima) ma generativa (chi è nato dallo Spirito è spirito...).
I racconti dei Vangeli traboccano di guarigioni operate da Gesù, quasi il quaranta per cento del Vangelo di Marco riferisce di segni e prodigi compiuti su corpi di dolore che diventano laboratorio del Regno e collaudo di una umanità sospinta a pienezza. La vita e il messaggio di Gesù si snodano come un tessuto continuo di ripartenze: per il lebbroso è una pelle di primavera; per l’uomo incappato nei briganti è l’empatia di uno straniero; per il cieco è il volto di sua madre; per il paralitico una danza abbracciato alla sua barella; per Giairo è la sua bambina rinata che gli vola fra le braccia.
Nell’incontro con i peccatori, Gesù si comporta con la stessa logica. Il perdono che lui offre scrive nel cuore delle persone la parola “futuro”; il perdono non libera il passato, libera il futuro delle persone, libera l’avvenire di una vita che inizia da capo, soffia via i cascami di una vecchia storia finita: «vai e d’ora in avanti non peccare» (Gv 8,11).
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