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Da Venezia al Ghana, la festa delle perle di vetro

Merce di scambio fin dal XVI secolo, le murrine sono al centro di riti ancestrali

​di Bruno Zanzottera e Augusto Panini
Per secoli le perle di vetro, conosciute con il nome di murrine, chevron, millefiori, rosette, realizzate a Murano e in altre città europee vennero portate in Africa dai mercanti che le utilizzavano come merci di scambio per procurarsi oro, avorio e schiavi.
La produzione vetraria veneziana affonda le sue radici in tradizioni molto antiche e si rifà direttamente alle già floride produzioni romana e bizantina. Sull’isola di Torcello sono tornate alla luce fornaci con frammenti di vetro e tessere di mosaico in un contesto archeologico risalente al 600-650. Grazie alla Bolla d’Oro concessa ai mercanti veneziani dal basileus di Costantinopoli nel 1082, con l’esenzione da tutte le imposte sul territorio bizantino, inizia l’espansione commerciale della Serenissima che la vedrà protagonista negli scambi tra l’Europa continentale e il bacino meridionale del Mediterraneo, il Vicino e il Medio Oriente. Fondachi e ambascerie permanenti saranno presenti nel reame di Granada, nel Marocco almoravide, nell’Egitto fatimide e mamelucco e negli emirati selgiuchidi del sud-est dell’Anatolia.
A seguito della caduta della Siria invasa dalle orde di Tamerlano, agli inizi del XV secolo, e alla presa di Costantinopoli nel 1453 da parte dei turchi Ottomani, ma soprattutto grazie alle nuove conquiste della marineria spagnola e portoghese e alla scoperta del Nuovo Mondo, le rotte commerciali cambiano radicalmente.
Il golfo di Guinea diviene il nuovo polo dove le navi portoghesi prima, spagnole, olandesi e inglesi poi sbarcano le loro merci da barattare, e tra queste le perle di vetro di Venezia, che assumono una vera e propria funzione di “moneta”: magica, pratica e incorruttibile. È a questo punto che Venezia diventa la capitale assoluta nella produzione e nella diffusione di perle, monopolio che conserverà per oltre tre secoli e non solo in Africa.
Non fu difficile per i veneziani offrire al mercato africano perle di vetro che riproponevano i motivi taumaturgici e apotropaici presenti nelle perle di vetro mediorientali che da secoli venivano trasportate e commercializzate dalle carovane sahariane provenienti dall’Egitto, dalla Siria, dalla Persia e, attraverso la via della seta e la via dell’ambra, da molto più lontano ancora. L’uso di perle di vetro con motivi magici a protezione della persona è di tradizione antichissima, e dalla Mesopotamia del secondo millennio a.C. giunge fino ai giorni nostri.
Per soddisfare i gusti delle diverse etnie africane, i maestri veneziani arrivarono a creare più di centomila tipi di perline. Nel Settecento le vetrerie di Murano sfornavano diciannovemila chili di perle alla settimana, in gran parte destinate al mercato estero. La rosetta veneziana divenne la tipica perla indossata dai capi tribali e dalle loro mogli. Tra tutte le popolazioni africane che acquistavano perle di vetro, una in particolare, i Krobo del Ghana, ne sviluppò una vera e propria venerazione. Ancora oggi ogni clan Krobo conserva le perle più antiche come un vero e proprio tesoro, da mostrare solo in occasioni rituali particolarmente importanti.
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