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Chiesa, maestra di cambiamento

Il cattolicesimo è una rivoluzione permanente. È la sua tradizione, come dimostra la storia

​Franco Cardini

Dinanzi all’epoca di cambiamento che stiamo vivendo la Chiesa è chiamata a non arretrare, a non rinchiudersi in se stessa, ma al contrario ad accettare la sfida del mutamento e a risponderle, come afferma papa Francesco in chiusura dell’ormai famoso discorso del 21 dicembre 2019: «Il cardinale Martini, nell’ultima intervista a pochi giorni della sua morte, disse parole che devono farci interrogare: “La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. [...] Solo l’amore vince la stanchezza”».
 Papa Francesco auspica un nuovo umanesimo nel quale la Chiesa sia scudo per gli Ultimi, non per i potenti della terra: «Si attua nel servire i più deboli ed emarginati, in particolare i migranti forzati, che rappresentano in questo momento un grido nel deserto della nostra umanità».
Ma quali sono queste trasformazioni che segnano questa svolta epocale? I cambiamenti climatici, i fenomeni migratori, le società multiculturali, la crisi demografica, una concezione fluida della famiglia, l’allargarsi della forbice del distanziamento socieoeconomico. Sulle problematiche legate al rapporto uomo-Creato e sulle migrazioni e i loro effetti il Papa si è speso molto invocando una Chiesa evangelica, aperta agli umili e a coloro che soffrono.
Chi critica le posizioni papali, a partire dallo schieramento “sovranista”, parte dal presupposto che le società attuali siano minacciate sotto il profilo identitario dai cambiamenti portati dalle migrazioni, dimenticando che le identità sono un prodotto di cambiamenti storici continui, molti dei quali si sono prodotti in tempi recenti, e che un’identità una volta sentita come tale si difende anzitutto “dall’interno”, approfondendola e rafforzandola, non tenendola al riparo dalle minacce. Una coscienza identitaria seria non ha bisogno di un esoscheletro.
Chi ad esempio celebra l’Impero romano come modello di passata grandezza della nostra civiltà dimentica che esso era fondato sulla diversità delle sue componenti, che si stendevano a nord come a sud del Mediterraneo, a Oriente e a Occidente, accrescendo la grandezza della costruzione imperiale sulla capacità di far propri i tanti elementi etnici, culturali e religiosi con i quali veniva a contatto. L’ellenizzazione dell’impero, che coincide con la sua fase di maggior grandezza, ha significato proprio questo. E questo ha significato la Constitutio Antoniniana del 212, che non ha abbreviato al vita dell’impero ma l’ha allungata fino al 1453 (perché l’impero non è ”caduto”, nel 476, se non nella sua Pars Occidentis, quando erano state altre cose a farlo ammalare: e soltanto parzialmente). [...]