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CIVILTÀ CONTADINA

​Il numero 293 di Luoghi dell’Infinito, il mensile di arte cultura e itinerari di “Avvenire”, in edicola da martedì 9 aprile, è dedicato alla “Civiltà contadina”.
Carlo Levi diceva che «nell’altro mondo dei contadini non si entra senza una chiave di magia». Per l’intellettuale torinese catapultato tra i Sassi lucani lo choc antropologico fu grande: “l’altro mondo”, appunto. In Cristo si è fermato a Eboli era consapevole della difficoltà di «penetrare in quel mondo chiuso, velato di veli neri, sanguigno e terrestre». Il mondo dei contadini – che ha segnato per millenni fino alla meccanizzazione dell’agricoltura la storia degli uomini ‒ è scomparso. Oggi in campagna abitano gli agricoltori, che non sono la stessa cosa: in gran parte sono i padroni a lavorare la terra, dove la presenza dell’uomo è sempre più ridotta. Le ragioni storiche sono molte: l’industrializzazione, l’urbanizzazione, l’esigenza di una migliore qualità della vita, tra sanità e istruzione, il lavoro sempre più realizzato da macchine che in sé stesse condensano centinaia di braccia. Nel nostro tempo tornare a lavorare la terra è una scelta culturale e di vita. La civiltà contadina è fatta di lavoro, tradizioni, profondo senso religioso. Farne memoria è anche un modo per comprendere meglio il giusto rapporto con la terra ed essere in comunione con gli altri.
Gli editoriali sono dell’antropologo Fiorenzo Facchini, che presenta l’agricoltura come una delle fondamenta della rivoluzione neolitica, vero big bang delle civiltà umane, e dell’economista Elena Beccalli, orientata al presente e all’alleanza tra lavoro e capitale come risorse per la terra.
La monografia si apre con un testo del cardinale Gianfranco Ravasi, che offre un quadro di lettura complessivo della centralità del lessico e del lavoro della terra nella Sacra Scrittura, dalla Genesi alle Parabole di Gesù. Due articoli di Franco Cardini tracciano una storia dell’agricoltura tra preistoria e antichità e quindi nel medioevo. Elena Pontiggia ci guida in un percorso nell’iconografia del mondo rurale, dai Mesi medievali a Van Gogh, tra fatica e pietas. Roberta Dapunt, in un testo che mescola prosa e poesia, racconta le proprie radici in un maso ladino in Val Badia. Guido Oldani, invece, risale alla sua infanzia nella campagna tra Bassa milanese e Lodigiano. Lo scultore e poeta Massimo Lippi rievoca il tempo e la sapienza – perduti entrambi – della mezzadria. Si scende più a sud con lo scrittore Raffaele Nigro, che dedica il suo contributo al poeta lucano Albino Pierro. Mario Turci ci fa invece entrare nelle sale del museo Ettore Guatelli, nel parmense, raccolta “creativa” degli strumenti e degli oggetti della vita rurale. Elisa e Marco Roncalli rievocano la figura di Giovanni XXIII, il “papa contadino”. Il mondo rurale nella letteratura è al centro del testo di Alessandro Zaccuri. Infine Leonardo Servadio racconta i monasteri contemporanei in Italia, in cui si rinnova il principio di “ora et labora”.
Completano il numero le rubriche “Homo viator” di Franco Cardini, “I volti dell’annuncio” di Maria Gloria Riva, “La scala d’oro” di Marco Vannini, “Lo spazio del suono” di Luigi Garbini, “Amicizie” di Antonia Arslan.