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Beato Angelico, quando la fede genera bellezza

“Chi fa cose di Cristo con Cristo deve stare”. Il grande ciclo del convento di San Marco

​Timothy Verdon

L’opera artistica più emblematica dell’Ordine Domenicano – l’opera con un’importanza per i Frati Predicatori paragonabile a quella degli affreschi di Assisi per i Frati Minori – è il ciclo di immagini realizzato dal Beato Angelico per il convento di San Marco a Firenze, fondato nel 1436.
L’artista Guido di Piero, poi “Frate Giovanni” e infine “Beato Angelico” (così chiamato per tradizione, verrà beatificato da Gio­vanni Paolo II il 3 ottobre 1982), da Vicchio nel Mugello a nord di Firenze, non solo raffigurava il Salvatore, lo conosceva. Giorgio Vasari gli attribuisce questa affermazione: «chi fa cose di Cristo con Cristo deve stare sempre». Secondo Vasari l’Angelico «spese tutto il tempo della sua vita in servigio di Dio e benefizio del mondo e del prossimo». Ancora Vasari lo presenta come modello per i religiosi e per altri “ecclesiastici”, uomo di “somma e straordinaria virtù”, “di santissima vita”, “semplice uomo e santissimo ne’ suoi costumi”, “umanissimo e sobrio”, il quale «non avrebbe messo mano ai pennelli, se prima non avesse fatto orazione» e «non fece mai crocifisso che non si bagnasse le gote di lagrime». La frase intera che Vasari gli attribuisce è: «Chi fa quest’arte, ha bisogno di quiete e di vivere senza pensieri; e chi fa cose di Cristo, con Cristo deve stare sempre».
Per l’altare della chiesa conventuale di San Marco, l’Angelico realizzò la più sontuosa pala della sua carriera, mentre, con l’aiuto di collaboratori, dipinse negli ambienti dell’attiguo convento più di cinquanta affreschi, a cui dedicò tra cinque e sette anni continuativi, dal 1438 al 1443 o forse 1445. A San Marco s’incontrarono i due mondi per cui l’Angelico aveva sempre lavorato, quello del suo Ordine e quello del mecenatismo privato. I suoi committenti erano i priori che autorizzarono il ciclo – prima fra Cipriano da Raggiolo e poi, a partire dal 1439, fra Antonino Pierozzi – e il banchiere Cosimo de’ Medici, detto il Vecchio, che ne sostenne la spesa. Per Angelico, frate e pittore, il progetto di San Marco era pertanto un’occasione unica di giustificare la fiducia che i superiori gli avevano dato chiamandolo a predicare dipingendo, e al contempo di soddisfare le attese del colto, ricco ma anche pio benefattore. In termini personali e professionali il progetto rappresentava una sfida che l’Angelico deve aver affrontato con lo strumento che egli illustra continuamente in queste opere, la preghiera.
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