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Atlante storico della pestilenza

Dal morbo che devastò l’Atene di Tucidide al Covid-19, passando per lebbra, vaiolo, tifo e peste nera

​Franco Cardini


La storia degli esseri umani si è imbattuta a quanto pare molto presto (“da sempre”, come si usa dire…) in flagelli epidemici d’origine, clinicamente parlando, magari eterogenea, e non sempre facili da distinguere, ma che nel linguaggio comune sono stati designati con un termine che in italiano suona “peste” o “pestilenza”. La parola è paurosa e terribile; ma il suo impiego nella storia è stato generico, a indicare un’ampia gamma di flagelli a carattere epidemico. Meglio sarebbe forse parlare, più propriamente, di epidemie, che si solito più che sparire sopravvivono in uno stato silente o semisilente e diffuso (“endemico”), salvo assumere di nuovo repentino e inatteso vigore e spargersi rapidamente in ampie aree (“pandemie”). Sono tali – e siamo in un’ambito che si esita a definire, fede religiosa a parte, propriamente e sicuramente storico – le “pestilenze” ricordate nella Bibbia, dalle “piaghe d’Egitto” all’epidemia che decimò l’esercito dei filistei dopo che essi si furono impadroniti dell’Arca dell’Alleanza.
I nostri padri definivano con termini come l’ebraico deber, il greco loimòs e il latino pestis affezioni contagiose di tipo diverso, come le epidemie di tifo esantematico e il vaiolo, con le quali nulla ha a che vedere la peste vera e propria, che è solo una delle malattie epidemiche antiche compagne degli animali e dell’uomo. L’esperienza umana collega ab antiquo queste malattie al topo, come in effetti viene ricordato anche nella Bibbia e all’inizio dell’Iliade, là dove la pestilenza nel campo acheo è attribuita agli strali lanciati contro di esso dall’irato Apollo: ch’è difatti “Apollo sminteo”, sterminatore dei topi. L’aggettivo “sminteo” (Iliade, II,I,39) deriva il suo nome dalla città di Sminthe nella Troade, o dalla parola sminthos, “topo”, animale ritenuto simbolo della vaticinazione. Secondo una tradizione diffusa nelle isole elleniche e in Asia Minore, il dio avrebbe liberato quelle regioni da un’invasione di topi. Come ha scritto lo storico Giorgio Cosmacini: «Della contaminazione, del contagio, i topi sono veicoli insuperabili (trasmettitori non solo della peste, ma anche del tifo murino, della spirochetosi ittero-emorragica, del sodoku, della tularemia). Pochi animali sono altrettanto nemici dell’uomo. L’antropomiomachia è una guerra antichissima, che fa parte della loro storia e della nostra».
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